Roma - Anche su un tema macchinoso come la legge elettorale emergono le diverse anime leghiste. Che sono tre: quella governo-scettica di Bobo Maroni, quella ottimistico-costituente di Calderoli, e quella berlusconiana-lealista del capogruppo Reguzzoni. L’apertura del ministro dell’Interno al referendum che abrogherebbe il «porcellum» (ovvero la «Legge Calderoli»...), segnala che in ambiente leghista di rito maroniano l’ipotesi di trovare una quadra parlamentare su un nuovo sistema di voto è ritenuta abbastanza remota. Più lineare il percorso a furor di popolo, quello referendario. Che però - anche se molti hanno voluto vedere nell’uscita di Maroni un’apertura al voto anticipato - escluderebbe le elezioni nel 2012, perché uno esclude l’altro: se si fa il referendum sulla legge elettorale in primavera non si possono programmare anche le elezioni (con quale legge si voterebbe?). Quindi il Maroni «referendario» non è, ipso facto, un Maroni pro-elezioni anticipate, quanto piuttosto un Bobo che vuol cavalcare il sentimento popolare, facendosi interprete della Lega di pancia (quella appunto meno convinta dell’abbraccio col Pdl).
Diversa è la posizione di Roberto Calderoli, che ha segnato sulla sua agenda la tabella di marcia della riforma costituzionale già presentata al Colle (Senato federale, diminuzione dei parlamentari, eccetera), che nelle speranze (molto ambiziose) del bergamasco potrebbe chiudersi entro la primavera del prossimo anno. Una legge elettorale nuova, secondo Calderoli, si dovrebbe incastonare nella nuova architettura costituzionale, e quindi necessariamente dopo. Perciò il ministro della Semplificazione non ha lo stesso interesse nel referendum, per quanto «la Lega e il sottoscritto erano a favore della vecchia legge elettorale, il Mattarellum», spiega al Tg1, «fummo ricattati dagli alleati, con la collaborazione della sinistra che non disse nulla. Infatti fui il primo a definire il nuovo sistema una porcata».
L’importante per Calderoli, al di là dei furori referendari che tanto hanno impressionato Maroni, è perseguire il «grande obiettivo», trasformare questi cinque anni in una «legislatura costituente che vari la legge costituzionale sul federalismo». Più pragmatica la terza linea, quella del capogruppo Reguzzoni, più orientato sul mantenimento delle attuali posizioni per evitare trucchetti gattopardeschi, come un governicchio tecnico per mettere la patrimoniale e «cambiare la legge elettorale», in modo sfavorevole alla Lega.
Molti dentro la Lega sono però convinti che la questione referendum sia tutto fumo negli occhi, perché probabilmente verrà dichiarato incostituzionale dalla Corte. L’abrogazione dell’attuale sistema elettorale infatti non comporterebbe automaticamente il ritorno in vigore di quella precedente, che è stata a sua volta abrogata dal Parlamento, e dunque è come se non esistesse. Questo è il parere di illustri costituzionalisti, cosa che i partiti sanno bene e nella Lega molti danno quasi per certo. Però non basta a frenare il lavorìo politico e le prove di dialogo attorno all’ipotesi referendum. Con Casini che ne approfitta per dare inaspettatamente ragione a Maroni: «Con una maggioranza come questa, fare una legge elettorale condivisa è come scalare l’Everest a piedi nudi. Molto meglio dare la parola ai cittadini».
Intanto all’interno del Carroccio continua l’avanzata congressuale di Roberto Maroni.
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