Caliendo: "Resto e a testa alta, mai ceduto a pressioni"

Sottosegretario Caliendo, si dimette?
«E perché?».
Il suo nome compare nelle carte dell’inchiesta sulla presunta P3.
«Dovrei dimettermi perché mi sono comportato correttamente?».
Dovrebbe dimettersi perché lo chiedono le opposizioni e perché la sua permanenza al governo potrebbe mettere in imbarazzo la maggioranza.
«Nessun imbarazzo. Non c’è niente. Niente di niente».
Giacomo Caliendo, magistrato per una vita e oggi sottosegretario alla Giustizia, tiene duro. E non ha alcuna intenzione di lasciare l’incarico.
Ricapitoliamo: lei ha partecipato al famoso pranzo del 23 settembre 2009 a casa Verdini?
«Ho partecipato alla prima parte».
Si è alzato prima del caffè?
«No, non ho proprio mangiato. Andavo di fretta».
E di che cosa avete discusso?
«C’era stato convegno sul federalismo in precedenza. Era andato molto bene, si parlava di organizzarne un altro. Io poi ho lasciato la tavolata».
Da chi era stato invitato?
«Io sono stato invitato a casa Verdini da Pasquale Lombardi, giudice tributario che conosco da una vita. Ho accettato perché Verdini è il coordinatore del partito cui appartengo».
Lei è magistrato. Un po’ di prudenza in più non avrebbe guastato.
«Io sono in pensione, mi sono dimesso da tutto, anche dalle riviste giuridiche. La toga non la metterò più».
Lombardi non le ha anticipato che a quella tavola ci sarebbe stato anche Flavio Carboni, sotto processo per il delitto Calvi?
«No. Mi ha specificato che avrei trovato Antonio Martone e Arcibaldo Miller».
Però si è trovato davanti anche Carboni. Nessun imbarazzo?
«Non ha detto una sola parola. Io ho parlato del convegno sul federalismo con Verdini e l’unico a intervenire è stato Lombardi. Poi me ne sono andato».
A tavola non avete parlato anche del Lodo?
«No, mi ha chiamato successivamente Lombardi per dirmelo».
Lei cosa ha risposto?
«Non me lo ricordo. Non ha importanza».
Potrebbe anche averla.
«No, l’essenziale è che io non ho fatto niente, neanche una telefonata. A nessuno. Nemmeno a quei giudici della Consulta con cui sono in buoni rapporti. Del resto non sono uno sprovveduto: so benissimo che nessuno sarebbe in grado di influenzare la Consulta».
Però Lombardi faceva pressing per sondare i giudici della Consulta. Perché non gli ha messo giù il telefono?
«Sono rimasto sbalordito nel leggere che Lombardi aveva tessuto una tela così vasta di relazioni e rapporti. Per me era solo il segretario del Centro europeo di studi giuridici di cui io ero stato presidente, prima di dimettermi, doverosamente, anche da quell’incarico. Insomma, per me la cosa era finita lì. Chiacchiere al vento».
Lombardi l’ha contattata anche quando la lista Formigoni è stata esclusa dal voto?
«Sì».
Ma cosa vi siete detti al telefono?
«Non sapevo come togliermelo di dosso. Dunque gli ho fatto capire la situazione: vedrai, Alfonso non lo fa, sottintendendo che Alfonso Marra, neopresidente della Corte d’appello di Milano non si sarebbe piegato ai voleri di Lombardi che voleva intervenire sulla Commissione elettorale».
E lei ha cercato Marra?
«No. Ovvio. Poi all’ennesima telefonata in cui chiedeva un’ispezione, gli detto per liquidarlo: ne parlo al ministro e mo’ basta. Va da sé che con il ministro Alfano ho valutato che non ricorrevano gli elementi per disporre un’ispezione. Che, infatti, non c’è stata».
Lombardi, sempre lui, è al centro delle presunte manovre per pilotare Marra alla Corte d’appello. Lei era dalla parte di Marra?
«Sì, ma anche qui non c’è nulla di anomalo».
E cosa c’è?
«C’è che io ho solo espresso l’opinione che la nomina dell’altro candidato, Rordorf, fosse poco opportuna. Rordorf era stato commissario alla Consob e Milano è la capitale economica del Paese. Tutto qua. Solo un problema di immagine. Fosse stata un’altra città, forse avrei preferito lui».
Ma Lombardi spendeva il suo nome.
«Ho letto».
Lombardi la metteva in mezzo parlando con il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone. E con il presidente della Corte d’appello di Milano Alfonso Marra.
«Ho letto. Lombardi millantava. Non ne sapevo nulla. Lui mi evocava con persone che conosco da moltissimi anni e con cui ho rapporti di cordialità.

Già questo fa capire che bluffava perchè se avessi voluto parlare con Marra o Carbone li avrei chiamati direttamente e non attraverso di lui».
Insomma, non ha niente da rimproverarsi?
«Mi sono comportato correttamente. Non ho dato il minimo spazio a pressioni di alcun genere. Non ho brigato in alcun modo. E posso restare al mio posto. A testa alta».

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