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Il calvario yazida tra l'odio religioso e la "realpolitik"

"Miscredenti" per i jihadisti, sono stati perseguitati e massacrati dall'Isis. Circa 360mila hanno lasciato la casa. Oggi rischiano di subire le mire turche

Il calvario yazida tra l'odio religioso e la "realpolitik"

Molti musulmani pensano che siano adoratori del diavolo. E vedono nei pavoni incisi nei loro palazzi una rappresentazione di Lucifero, l'angelo caduto dal paradiso. Gli Yazidi hanno subito crimini terribili nel corso della loro storia ma i peggiori sono stati per mano dello Stato Islamico durante il suo regno del terrore nel Nord dell'Iraq. Migliaia di loro sono stati uccisi, donne e bambini ridotti in schiavitù e violentati. Un'indagine delle Nazioni Unite ha confermato che l'Isis ha compiuto un vero genocidio contro questa comunità, il peggiore dei 74 massacri subiti nella sua storia. I jihadisti hanno ucciso 5mila uomini e vendute come schiave tra le 5mila e le 7mila donne.

Ancora oggi vengono rinvenute fosse comuni sulle montagne del Sinjar, la terra ancestrale e sacra degli Yazidi. Montagne brulle e semi-desertiche dove sorgono i loro santuari più visitati. I monti Sinjar sono stati teatro della fulminea offensiva nell'agosto del 2014, quando i seguaci del califfo Abu Bakr al-Baghdadi le hanno conquistate. E ancora a febbraio sono stati identificati e riesumati 104 corpi degli abitanti nel villaggio di Kocho, luogo natale della premio Nobel per la pace Nadia Murad. Si stima che ci fossero circa 550mila Yazidi che vivevano in Iraq prima dell'invasione dell'Isis. Circa 360mila sono fuggiti e hanno trovato rifugio altrove. Altri sono ancora allo sbando. «Alcuni Yazidi hanno cercato rifugio in Turchia, ma molti di quella comunità - spiega W. Robert Pearson analista del Middle East Institute di Washington a Il Giornale - ricordano che la Turchia non li ha aiutati quando l'Isis ha attaccato nel 2014».

Gli Yazidi sono di stirpe iranica e parlano una lingua curda, ma a differenza di quasi tutti i curdi non si sono mai convertiti all'islam. Per questo vengono visti come «miscredenti». La loro persecuzione si basa anche su un malinteso sul loro nome. Gli estremisti sunniti credono che derivi da Yazid ibn Muawiya il secondo califfo della dinastia omayyade, famigerato per la sua vita dissoluta. In realtà il loro nome deriva invece dal moderno persiano «ized», che significa angelo o divinità. Il nome Izidis significa infatti «adoratori di dio», così si auto-definiscono. Cioè l'opposto di «adoratori del demonio». La loro religione è sincretica, riconoscono come testi sacri sia la Bibbia sia il Corano, anche se gran parte della loro tradizione è orale. Il loro essere supremo è Yasdan. Da lui emanano sette grandi spiriti, il più grande dei quali è l'angelo pavone noto come Malak Taus. Gli yazidi pregano Malak Taus cinque volte al giorno. Purtroppo, un altro suo nome è Shaytan, che in arabo significa diavolo, il che ha generato equivoci funesti.

Gli Yazidi credono anche che le anime trasmigrino e che la purificazione graduale sia possibile attraverso la rinascita continua, con richiami alle religioni indiane e al neoplatonismo. La violazione delle leggi divine viene quindi espiata per mezzo della metempsicosi. Sono molto attenti alla purezza religiosa, e seguono una molteplicità di tabù nella vita quotidiana. È vietata una varietà di cibi, così come l'abbigliamento blu. La parola Shayan non viene pronunciata e vengono evitate anche altre parole con una somiglianza fonetica. Come altre religioni minoritarie della regione, ad esempio i drusi e gli alawiti, non è possibile convertirsi allo yazidismo. Si è Yazidi solo se si nasce Yazidi.

Per questo il loro destino è sempre difficoltoso. L'incubo dell'Isis è finito ma ora il governo iracheno ha poca presenza nel Sinjar e gli Yazidi temono di essere nuovamente sfollati a causa delle crescenti tensioni. Per facilitare il ritorno degli Yazidi, a ottobre è stato firmato il cosiddetto accordo di Sinjar. Il patto, stretto tra il governo iracheno e e quello del Kurdistan, prevede che le uniche armi autorizzate nella regione siano quelle delle forze federali. Ma l'intesa non è stata ancora applicata. Le autorità della regione autonoma del Kurdistan rivendicano il controllo della regione ma devono affrontare la crescente influenza del rivale Pkk, alleato degli Yazidi contro l'Isis. Anche la vicina Turchia, che ritiene il Pkk una organizzazione terroristica, ha brutte intenzioni e ha già minacciato «un'operazione» anti-Pkk nel Sinjar e ha effettuato anche un raid a gennaio, che ha colpito uno dei templi principali. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha minacciato di dispiegare lì le forze armate turche. «È ragionevole supporre che Ankara possa tentare di esercitare un maggiore controllo sul Sinjar. Se questo accadrà - spiega Pearson - troverà resistenza a livello locale e sarà condannata a livello internazionale». Ma non finisce qui. Ci sono anche le milizie sciite di Hashd al-Shaabi che vogliono restare e persino inviare nuovi combattenti. Queste forze difendono le rotte strategiche per il contrabbando in Siria.

Gli Yazidi si trovano schiacciati fra le grandi potenze sunnite e sciite, arabe, turche e persiane. La loro forza è nel rispetto delle tradizioni e nel coraggio, come ha dimostrato Nadia Murad. Aveva 19 anni quando i membri dello Stato Islamico hanno attaccato il suo villaggio di Kocho. Ha assistito al massacro di centinaia di abitanti, compresa sua madre e sei fratelli. Catturata nell'agosto 2014 e tenuta in prigionia a Mosul dove, assieme a migliaia di altre donne yazide, è stata abusata, Murad è riuscita poi a fuggire in Germania. È stata la prima Ambasciatrice Onu e nel 2018 ha ricevuto, assieme a Denis Mukwege, il Premio Nobel per la pace. Ha vinto anche con Lamiya Aji Bashar il premio Sakharov 2016 ed è stata inserita da Time tra le 100 persone più influenti del 2016. Gli Yazidi non hanno mai abbandonato la loro fede religiosa. Nadia Murad è solo l'ultimo esempio della loro perseveranza. «Il mio messaggio ha spiegato - è credere che le cose possano essere diverse.

Dobbiamo educare i nostri figli ad aspettarselo e non lasciarci distrarre dall'odio».

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