Cambi di visione

Da Berretti verdi a Corvo rosso non avrai il mio scalpo, l'ultimo dibattito che anima la vita politica di Alleanza nazionale ha una veste cinematografica. Andiamo per ordine. I giornali hanno riportato la mitragliata con cui Gianfranco Fini ha spento sul nascere la tentazione di ergere Il mercante di pietre di Renzo Martinelli a manifesto dell'ala «fallaciana» di An. A cui, ovviamente, iscrivere a fine visione anche il Capo, che invece s'è dissociato in maniera dura definendo il film un'operazione di «propaganda becera» che «rischia di alimentare l'islamofobia qui da noi». Il gesto di Fini, come accade sempre più spesso, ha prodotto quel trasversalismo mediatico che riesce a rendere piccante anche il nostro bipolarismo dichiarato. Le accuse di buonismo e pavidità indirizzate da Martinelli al presidente di An, sinceramente curiose tenuto conto del suo iperattivismo a favore di Israele, sono state rimpallate dal Secolo d'Italia nel rifiuto delle «letture cattiviste di una certa pubblicistica in cerca di emozioni forti». Il più convinto difensore del film è stato Francesco Storace, che tre anni fa per rispondere indirettamente al viaggio del suo leader allo Yad Vashem da presidente della Regione Lazio aveva organizzato una speculare trasferta in Palestina. I complimenti di Gad Lerner, la candidatura di Fini alla Mezza Luna d'oro - il premio dell'Islamic Anti Defamation League - sono arrivati assieme ai telegrammi di plauso di quella parte della destra politica che ama citare più i libri di Franco Cardini sul dialogo tra le due sponde del Mediterraneo che l'intransigenza dei libri di Oriana Fallaci. Del resto, l'ha ricordato tempo fa in chiave polemica sul Riformista Roberto Chiarini, lo stesso Msi non aveva mai palesato posizioni anti-islamiche, tant'è che nel 1988 ai funerali di Giorgio Almirante erano presenti le delegazioni diplomatiche di dodici Paesi arabi. E Fini, presentando nel 2003 una proposta di legge per concedere il voto amministrativo agli immigrati «integrati», ha dimostrato di comprendere che la linea di frattura tra una destra democratica e un'estrema destra populista oggi è situata proprio nel diverso trattamento riservato alle relazioni con l'Islam, dentro e fuori i patri confini.
E in tutto questo che c'entra Corvo rosso? L'evoluzione del Fini-pensiero funziona così. Alla stroncatura del film di Martinelli è seguito un consiglio cinematografico: «L'altra sera dopo 25 anni mi sono rivisto Corvo rosso non avrai il mio scalpo. Quello sì che era un capolavoro». Dai kamikaze di Allah ai fucili alla Tex Willer, per chi conosce l'immaginario della destra la rievocazione di Corvo rosso è una novità che riporta la lancetta del tempo alla gioventù della classe dirigente di An. La pellicola del 1972, diretta da Sidney Pollack e interpretata da Robert Redford, viene considerata il capofila dei film revisionisti sull'epopea del West. È un film dove, appunta il dizionario Mereghetti, «gli indiani sono ostili, ma non appaiono inferiori ai bianchi», e si comincia a prendere le distanze dalle tradizionali storie sbilanciate dalla parte dei vincitori anglosassoni wasp che avevano fatto trionfare l'idea della «guerra giusta» dei cowboy e delle «giacche blu» contro i pellerossa selvaggi e cattivi. Ricordi che nella storia del cinema assumono il volto di John Wayne.
E qui sta la svolta. È stranota, infatti, la storia per cui il presidente di An abbia deciso di avvicinarsi alla Giovane Italia, la vecchia organizzazione giovanile missina, perché, eravamo in pieno 1968, l'estrema sinistra gli aveva impedito di entrare al cinema per vedere Berretti verdi. L'importanza della pellicola di Wayne, accolta dalla critica pacifista come una spudorata apologia della guerra in Vietnam, Fini l'ha sempre confermata: «Non sarebbe successo nulla se non ci fosse stato John Wayne». La trasposizione sul grande schermo dell'idea di un'America aggressiva ma, soprattutto, idealista e attaccata a un feroce amore di patria era del resto una passione comune ai tanti militanti di destra che negli anni Settanta giravano con il capello corto alla marine e inforcando un paio di Ray-Ban a goccia. Ma era anche l'America che nelle sue mitologie conservava l'idea dell'indiano selvaggio e cattivo. Dagli anni Settanta, la destra giovanile s'è sempre divisa tra i tifosi delle «giacche blu» e i sostenitori delle ragioni dei pellerossa, una trasfigurazione dell'opposizione tra i filoamericani «a oltranza» e chi vedeva nello spiritualismo e nella difesa della terra dei pellerossa un'altra «epopea dei vinti» che affascinava i postfascisti. E i conflitti sono durati anni. Da una parte, ricordano Luciano Lanna e Filippo Rossi in Fascisti immaginari, si leggeva Seppellite il mio cuore a Wounded Knee di Dee Brown o Alce Nero parla di John G. Neihardt. Al campo Hobbit del 1980 venne utilizzato il manifesto di Capriolo Zoppo per la proiezione di diapositive ecologiste, i poster di Geronimo e Toro Seduto cominciarono a essere appesi nelle sezioni fino ad arrivare al 1996 quando, commentando uno dei due documenti presentati per le candidature alla presidenza di Azione giovani, il Messaggero commentò: «Addio Evola e Gentile: i giovani di An scelgono Cavallo Pazzo». Ancora l'altro giorno il responsabile culturale di An, Fabio Granata, ricordava che Corvo rosso «quando ero ragazzo, era una pellicola immancabile nei nostri cineforum, insieme a Soldato blu», un altro film revisionista. Dall'altra sponda della barricata, quella vicina agli ambienti missini più tradizionali, negli anni Settanta si rispondeva scrivendo sui muri: «W Custer». A questo proposito Umberto Croppi, allora dirigente giovanile, ricorda che quando si rivolse in una riunione a Fini citando una frase di Dustin Hoffman in Piccolo grande uomo, «generale, vai in quella valle così sarai sconfitto», l'allora segretario del Fronte della gioventù gli rispose: «Ci vado volentieri, io tengo per Custer».
Oggi riteniamo che il leader di An abbia cambiato giudizio su Geronimo e Cavallo Pazzo. L'odierna rivalutazione di Corvo rosso, accanto alla bocciatura de Il mercante di pietre, conferma la sensibilità multiculturale e «inclusiva» che Fini ha impresso alla sua azione politica, lasciando volentieri il ruolo del falco a qualche ultrà dell'occidentalismo. E non è la prima volta che negli ultimi tempi in Italia le svolte e le novità in politica arrivino insieme alle suggestioni del grande schermo. Qualche mese fa Fausto Bertinotti, in un libro-intervista, aveva ammesso che le sue passioni filmiche non passavano per qualche neorealista sovietico ma per il grilletto dell'ispettore Callaghan interpretato da Clint Eastwood, cattivissimo e un po' troppo fascista - almeno secondo la critica della sinistra anni Settanta. Un'ammissione che ha fatto bisbigliare qualcuno su un intollerabile cedimento a destra del líder Fausto.

E Bertinotti lo scorso mese ha pigiato sull'acceleratore dello scandalo decidendo di andare alla festa dei giovani di An a discutere di immaginario politico: sarà un caso? Non c'è niente da fare. Ogni volta che un leader si siede in poltrona per una prima visione, qualcun altro salta sulla sedia.

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