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Cambia la sanità: l’infermiere di famiglia ci curerà a casa

Suona bene «infermiere di famiglia». Bisogna farci l’orecchio, ovvio, ma diciamocelo, sono i 380 mila infermieri italiani che tirano avanti la baracca della sanità pubblica. E, a differenza dei bistrattati medici, non sono odiati dai pazienti. Non commettono gravi mancanze e sono indispensabili nelle corsie degli ospedali. Guai, insomma, se non ci fossero. Lo sa bene la Giunta regionale della Valle D’Aosta che ha deciso di farli uscire dalle corsie e di sguinzagliarli in giro per le case dei pazienti. Il progetto, che prenderà il via a giugno, è molto ambizioso ma se funzionerà riuscirà a migliorare la qualità di vita dei pazienti e a tagliare i costi della sanità pubblica. A livello nazionale, una degenza ospedaliera per malato costa, ottimisticamente, dai 600 ai 900 euro al giorno. E molti pazienti potrebbero essere dimessi prima di quanto avviene se fossero seguiti in modo competente a casa. Ed è qui che scatta l’intervento dell’infermiere di famiglia.
Spiega Giuliana Vuillermin, referente del progetto: «Nel caso ad esempio di una persona infartuata l’infermiere di famiglia opera cercando le cause scatenanti dell’infarto, ad esempio stili di vita non adeguato e suggerisce dei correttivi». Insomma, si tiene sotto controllo il malato di cuore per evitare che si ripresenti in ospedale con un’altra complicazione. Ma non solo. Gli infermieri di famiglia avranno anche il compito di facilitare le dimissioni precoci dagli ospedali, fornire assistenza infermieristica a domicilio; agire da tramite tra la famiglia e il medico di base, sostituendosi a quest’ultimo quando i bisogni identificati sono di carattere prevalentemente infermieristico. L’obiettivo generale del progetto è di mantenere la persona a domicilio, ridurre gli accessi alle strutture o i ricoveri.
Forse ai medici tutto questo spazio di manovra non piacerà. Qualcuno si sentirà surclassato, altri avranno paura di perdere il posto di lavoro. Ma è la rivincita dei cugini dei camici bianchi, Che ormai hanno acquisiti competenze e professionalità di alto livello, con tanto di laurea e master di specializzazione. Di cui vanno fieri. «L’infermiere di famiglia rappresenta l’evoluzioni della categoria ed è la sanità del futuro», spiega Andrea Bottega, segretario di Nursind, sindacato degli infermieri. «La guerra tra le due categorie non serve a nessuno, tanto meno ai pazienti. Purtroppo alcuni medici si sentiranno sminuiti e qualcuno solleverà questioni di competenze com’è successo in Emilia, ma alla fine i più si sentiranno sollevati da incarichi che attualmente li distolgono dalla loro funzione diagnostica e chirurgica». Insomma, per Bottega, introdurre la figura dell’infermiere di famiglia, significa garantire al paziente una continuità nelle cure per fargli guadagnare l’autosufficienza ed evitargli pericolose ricadute. Nei malati cronici, invece, si evitano ricoveri impropri e si garantiscono cure mirate e appropriati stili di vita. «Un diabetico o un nefropatico che viene seguito dall’infermiere a casa, non corre rischi. Lo puoi chiamare per telefono quando hai dei dubbi, ti può venire a trovare per capire se mangi correttamente, se prendi le medicine adatte. Attualmente, tutto questo viene delegato alla famiglia o alle badanti che a volte non sanno neppure leggere l’italiano».
Anche per il presidente della Federazione nazionale dei collegi infermieri, Annalisa Silvestro «l’infermiere di famiglia è un’idea rilevante che viene già sperimentata in Emilia e in Friuli dove il professionista, oltre a fare la prestazione, si prende cura del contesto familiare. Sta male la nonna? E lui controlla anche figli e nipoti offrendo utili consigli sugli stili di vita». Silvestro punta il dito anche contro le degenze ospedaliere. «Abbiamo ricoveri in ospedale che non sarebbero necessari se ci fossero interventi professionali sul territorio». Quanto ai medici, Silvestro non vede invasioni di campo.

«Sono due professioni completamente diverse, il medico fa la diagnostica, l’infermiere la applica. Se i medici si sentono minacciati sbagliano, hanno una posizione arretrata. Oggi l’infermiere è dotato di una preparazione elevata che merita nuove opportunità. La sanità non può restare ferma a 30 anni fa».

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