Come cambia la vita quando restiamo a piedi

Come cambia la vita quando restiamo a piedi

D omenica scorsa, pensieroso, stavo camminando lungo un marciapiede di via Torino, pieno centro di Milano, e d’un tratto mi sono accorto di essere molto lento. Ma nessuno mi ha spintonato per passare avanti.
L’altro giorno ho portato come al solito un po’ di legna in casa per alimentare una delle tre stufe che scaldano il mio e il nostro vivere vintage. Però mi si è incriccata la schiena. E due ore dopo, giunto in città, procedevo con andatura faticosamente approssimativa. Nessuno mi ha spintonato per passare avanti.
Giovedì ho preso un caffè e per uno di quegli imponderabili meccanismi che regolano i nostri desideri mi è venuta un’incredibile voglia di castagne e chissenefrega se ormai costano come tartufi. Le ho prese. Solo che a parziale, parzialissima, compensazione del mutuo sottoscritto per averle, l’omino del baracchino mi ha dato un sacchettino a due scomparti che faceva molto chic: da una parte le caldarroste, dall’altra, in quello più piccolo, le bucce. Però me n’è caduta una, di buccia, e per un’insopprimibile tendenza vintage all’educazione mi sono bloccato e chinato per prenderla. Solo che un tipo mi è venuto addosso ed era colpa mia e però ha detto «mi scusi tanto» e però gli ho risposto «ci mancherebbe scusi lei...» e comunque nessuno mi ha spintonato per passare avanti. Non l’ha fatto persino un ragazzo con i capelli sparati in aria e la faccia da bulletto aspirante tronista: si è limitato a transitare accanto senza dire bah, giusto uno sguardo un po’ spento.
E allora non capisco. Non capisco per quale diavolaccio di un motivo succeda che tutte queste persone che non hanno fatto storie per la mia lentezza, che non hanno spintonato, una volta però salite in auto si comportino in tutt’altra maniera. Perché trasformate in automobilisti, la prima cosa che istintivamente venga loro in mente quando si trovano dietro a uno che procede, anche solo impercettibilmente, più lento in autostrada, sia una lampeggiata con gli abbaglianti. Tanto più che la toccata di fari, tradotta nel linguaggio dei piedi, altro non è che uno sgarbato «ma spostati...».

Non capisco soprattutto perché camminando a tre all’ora non lo si faccia e invece a 130 e oltre, per di più alla guida di un mezzo capace di uccidere, sia normale farlo.
In attesa di una risposta, continuo a vivere vintage. Sperando o illudendomi che l’insano atteggiamento non sia nato ai tempi delle carrozze trainate da cavalli. Ci rimarrei troppo male.

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