«Cambiare noi, dipendenti pubblici? Brunetta s’illude»

Caro direttore,
il ministro Brunetta ha lanciato un appello ai dipendenti pubblici affinché facciano uno sforzo per aiutare l'Italia a uscire dalla crisi. Essendo anch'io un dipendente pubblico, ma della categoria insegnante, mi sono chiesto come potrei aumentare la mia produttività. Il mio lavoro consiste nell'aiutare i «pargoletti» a crescere culturalmente, ma anche con sani principi, inculcando loro il senso del dovere, il rispetto per il lavoro, il rispetto per il diverso ecc... Spero di riuscirci, così un domani potremmo avere dei cittadini degni di questo nome. Ma oggi, come si fa a far diventare più efficienti impiegati che, per la maggior parte di essi, sono stati piazzati per meriti politici e di raccomandazione?
Il posto di lavoro lo apprezza colui il quale se l'è sudato, che ha mangiato pane e cicoria, come dice Rutelli (chissà quanta ne avrà mangiata lui), per gli altri è risultato, alla fine, un atto dovuto. Quindi, caro direttore, chi è vissuto fra quattro mura per 20 anni, abituato a un ritmo lento, fatto di giornate abuliche e noiose, intervallate da qualche urgenza sopravvenuta inaspettatamente, difficilmente avrà quello scatto di orgoglio, di cui parla ingenuamente Brunetta. È troppo fiducioso, anche se i risultati contro i fannulloni sono stati eccellenti. Un altro motivo della mia sfiducia è che la maggior parte degli impiegati sono di sinistra, «odiatori» per antonomasia di Berlusconi. Lo dico con certezza perché molti miei conoscenti, «sistemati dal sistema», democristi prima e social-comunisti dopo, vivono una vita grama, senza aspettative, se non quella dello stipendio. Le loro giornate passano miseramente da un bar al circolo, alla passeggiata discutendo del piccolo aumento che gli spetta e pensando alla pensione. Logicamente un applauso andrebbe fatto a quegli impiegati che svolgono il lavoro anche per gli altri. Ce ne sono molti.

Avevo un amico, dipendente pubblico, che mi diceva sempre: «Il mio lavoro? Sarebbe anche bellissimo. Dovrei solo trovare il tempo per farlo». In effetti s’era riempito a tal punto la giornatà di attività alternative che in realtà era molto occupato. Ma non sbrigava una pratica nemmeno per sbaglio. Non era molto produttivo, insomma, per dirla con Brunetta. Come fare, invece, per fare diventare i dipendenti pubblici produttivi? Lei, caro lettore, nelle sue prime righe fa una domanda cui dà già una risposta nelle ultime: se ci sono impiegati che svolgono «il loro lavoro anche per gli altri» è evidente che anche nella Pubblica amministrazione si può lavorare bene, e tanto, magari pure con soddisfazione, sicuramente con risultati. Come mai non accade? Secondo me il ministro Brunetta ha toccato il tasto giusto: bisogna riscoprire l’orgoglio travet. Bisogna trovare modo di dare all’impiegato del catasto lo stesso senso di appartenenza che ha un operaio della Ferrari, per esempio. Perché non accade? Lei ha ragione quando dice che un conto è il lavoro che si è conquistato, mangiando pane e cicoria (Rutelli, stia tranquillo, di cicoria ne ha mangiata sempre poca), e un conto è il «posto» che si ottiene per raccomandazione.

Ma, a parte il fatto che non è vero che tutti i dipendenti pubblici sono entrati per raccomandazione, la sfida da affrontare è proprio questa: passare, nel settore pubblico, dall’idea del «posto» da occupare a quella del «lavoro» da fare. O meglio, del servizio da rendere al Paese. Il resto verrà di conseguenza.

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