Roma - Il tempo dell’unanimità e del consenso bulgaro per il governo Monti è già finito. È trascorso meno di un mese dalla prima fiducia incassata dall’esecutivo a Montecitorio il 18 novembre scorso. Ventotto giorni in cui la tanto invocata ricetta «salva-Italia» ha preso forma mentre una bella manciata di deputati sembra aver preso la porta.
Il verdetto dell’aula è inequivocabile: i consensi per il Professore scendono, in occasione della fiducia sulla manovra, da 556 a 495, ovvero 61 in meno. Pesano, nel calo dei sì, le assenze ma anche il voto contrario della Lega, dell’Idv, dei tre deputati delle minoranze linguistiche e dei tre membri di Grande Sud. Aumentano, quindi, i no passati da 61 a 88, per uno «score » di più 27 rispetto al precedente test d’aula. Quattro gli astenuti. Tre i dissidenti rispetto alla linea dei propri partiti: Alessandra Mussolini e Giorgio Stracquadanio del Pdl («se Monti giudicasse la sua manovra da editorialista, la stroncherebbe»),che hanno votato no,e Renato Cambursano dell’Idv che ha votato sì. Nella fotografia del voto spicca l’assenza di 26 deputati del Pdl, tra i quali Giulio Tremonti, Paolo Romani, Michela Vittoria Brambilla, Guido Crosetto, Pietro Lunardi, Antonio Martino, Fiamma Nirenstein, Stefano Saglia, Isabella Bertolini, Maria Rosaria Rossi e Viviana Beccalossi. Nel partito di Berlusconi si sono astenuti poi quattro deputati: Deborah Bergamini, Giuseppe Moles, Giulio Marini e Pina Castiello. Non vota il pasdaran Domenico Scilipoti: «Non riconosco l’attuale governo».
Al netto della contabilità numerica, è di tutta evidenza il valore politico della diserzione registrata nella fila del Pdl e del centrodestra. Per molti è il segnale del risveglio dell’orgoglio liberale, un rilancio certo non in polemica con la linea di Angelino Alfano bensì l’occasione per rivendicare la propria identità più profonda e manifestare il desiderio di tornare alla politica vera, quella delle idee, del confronto e della dialettica aperta. Un mini-blitz messo in atto all’ombra del «generale-Natale»,quando assenze con un comune denominatore ben preciso possono confondersi nella nebbia dei ritorni obbligati verso i collegi di appartenenza. Antonio Martino, ex tessera numero due di Fi, motiva così la sua posizione: «Non ho votato le precedenti manovre volute da Tremonti, figuriamoci questa. Ho parlato con Berlusconi. Sono contrario a un governo di tecnici».
Sulla stessa linea Giuseppe Moles: «Disapprovo le misure tasse e sangue di questo esecutivo». In serata, poi, arriva anche il voto dell’aula non più sulla fiducia ma sulla manovra. I numeri scendono ancora, così come i presenti in aula. Alla fine il verdetto è di 402 favorevoli, 65 contrari e 22 astenuti. Nel corso di una giornata parlamentare decisamente movimentata c’è anche il «colpaccio» della Lega su un ordine del giorno che impegna il governo a esimere dal pagamento dell’Ici le abitazioni in cui vivono handicappati. Una proposta sulla quale arriva il voto pressoché unanime dell’assemblea con 512 sì, 13 no e 7 astenuti. Gianfranco Miccichè,leader di Grande Sud,ammette:«Votiamo la manovra con grande fatica». Saverio Romano aggiunge: «A volte si vota senza entusiasmo o turandosi il naso ». E Francesco Pionati chiosa: «L’impalcatura del governo e della sua anomala maggioranza già vacilla». Silvio Berlusconi getta acqua sul fuoco. «Alcuni deputati - spiega - ci hanno chiesto la possibilità di dare un voto di astensione. Non siamo intervenuti visto che non c’era nessun pericolo per la maggioranza».
Amedeo Laboccetta, però, paventa «il rischio di un’epidemia» e chiede ad Alfano di intervenire.
E mentre qualcuno ipotizza un voto in primavera c’è anche chi immagina la possibilità di un confronto più politico già nelle commissioni, con la possibilità di alleanze trasversali su provvedimenti strategici come le liberalizzazioni. Una prospettiva vista alla stregua di uno spiraglio di luce per uscire dal tunnel della tecnocrazia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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