Il sommo resta Walter Veltroni. Il quale, trovandosi fra le mani un racconto breve intitolato La scoperta dell’alba, lo trasformò con un colpo di bacchetta editoriale in un romanzo edito da Rizzoli. Fu necessario però stampare i caratteri in un corpo tipografico gigantesco, da allora noto come «Corpo Veltroni» nei manuali del perfetto stampatore. E farcire il volume di «elegantissime» pagine bianche all’inizio, alla fine e tra un capitolo e l’altro.
Ora l’ex leader del Partito democratico deve affrontare la sfida della industria editoriale “Andrea Camilleri”, la sola in grado di sfornare romanzi, racconti, pièce, articoli e poesie a getto continuo, con ritmi che avrebbero fatto felici i responsabili dei piani quinquennali sovietici. Da qualche tempo la stakanovista industria “Andrea Camilleri” sfoggia un vero e proprio marchio di fabbrica: il Dialogo Lunghissimo e Inutilissimo (DLI), perfetto per riempire pagine e pagine di aria fritta ma indispensabile per gonfiare un racconto fino alle dimensioni di un romanzo con copertina cartonata e dal ragguardevole prezzo. Ogni battuta di DLI, anche se composta di due sillabe («Ciao»), vale una riga. Tante battute di DLI, tante pagine; tante pagine, tanti romanzi. Minimo cinque o sei all’anno, regolarmente baciati da un fenomenale successo in classifica, qualsiasi cosa ci sia dentro. Il DLI è l’equivalente delle infinite sparatorie (con scene identiche ripetute anche un paio di volte a distanza di pochi secondi) nei b-movies d’azione, sparatorie necessarie per raggiungere la durata minima sindacale sopra la quale lo spettatore non può tornare alla cassa inferocito per aver assistito a un telefilm e non a un film.
L’intermittenza, il nuovo libro della “Andrea Camilleri” pubblicato da Mondadori, è «un thriller spietato, veloce come un battito di ciglia», dice la copertina. In effetti è velocissimo. Nonostante abbia 172 pagine, si legge in un’ora. Grazie a una sistematica applicazione del DLI. La “Andrea Camilleri” ha tratto ispirazione dalla cronaca e ha trovato interessanti le torbide vicende della famiglia Manuelli, proprietaria di una grande azienda che sostiene l’economia del Paese e dà lavoro a migliaia di operai. C’è un capostipite che ha tenuto a battesimo l’industria italiana, un figlio inetto e un po’ guascone, qualche manager senza scrupoli e tagliatore di teste, ministri e sottosegretari disposti al compromesso. Scandali, scandaletti, segretarie e amanti insaporiscono il minestrone. (E se state pensando a una grande famiglia che faccia rima con Manuelli... sappiate che «I fatti e i personaggi di questo romanzo sono frutto di fantasia», dicono alla “Andrea Camilleri”).
Comunque il DLI domina incontrastato. Per spalmarsi una crema può essere necessaria quasi mezza pagina.
«Te la sei rimessa la crema?»
«No»
«Perché?»
«Pensavo che una volta bastasse»
«Ma no! Rimettitela»
«Non mi va di alzarmi»
«Mettila senza alzarti. Ti aiuto io»
Finito? Macché. Dopo «il gemito di piacere» di Marisa, l’incremata, si ricomincia.
«Ti faccio male?»
«Un pochino»
«Vuoi che smetta?»
«No, continua»
L’apice però si raggiunge nelle interminabili telefonate. Eccone una.
«Dottore al telefono c’è la dottoressa Licia Birolli»
«Me la passi»
«Come va?»
«Bene e tu?»
«Le telefono a nome di ...»
«Scusami Licia ma io ti do del tu»
«E con ciò?»
Le questioni formali richiedono altre cinque battute, fino a quando finalmente la vicenda sembra ripartire.
«Senti, ti telefono a nomi di Luigi»
«Scusami, Luigi chi?»
«Ravazzi»
«Perché lo conosci?»
E si ricomincia: per stabilire chi è il Ravazzi e cosa vuole dalla nostra vita se ne va mezza pagina di «fitta» discussione. Dopo di che scatta un invito a cena. Per decidere dove andare e a che ora ci vogliono la bellezza di 27 righe di dialogo con battute lapidarie.
«Ti va bene alle otto e mezzo?»
«Va benissimo»
«Ciao»
«Ciao»
E un’altra pagina è chiusa. Proprio quando il lettore sta per tirare un sospiro di sollievo, riecco squillare lo stramaledetto telefono. È ancora lei, la Birolli.
«Mi scusi dottore, è ancora la signorina Birolli»
E si riparte per un’altra pagina di dialogo. Conclusioni rinviate: «Ti chiamo io domattina alle dieci». Una minaccia, più che un appuntamento. Però un’altra mezza pagina è volata via.
E anche questo pezzo.
Accipicchia.
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