Camilleri torna a far ridere con "Il birraio di Preston"

La versione di Dipasquale punta a stupire il pubblico. Vigata capitale della vicenda tra commedia e farsa

Camilleri torna a far ridere con "Il birraio di Preston"
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Giuseppe Dipasquale vanta un lungo sodalizio con Andrea Camilleri che risale alla fine degli anni Novanta, quando, nella stagione 1998-99, andò in scena, allo Stabile di Catania, la prima riduzione, firmata dall'autore e dal regista, di "Il Birraio di Preston". Il successo fu tale, che il sodalizio continuò con la riduzione, sempre a quattro mani, di "La concessione del telefono", visto anche a Milano, al Piccolo Teatro. In occasione del centenario, Dipasquale ha riproposto una nuova versione del "Birraio di Preston", con un cast numerosissimo, guidato da Edoardo Siravo, Federica De Benedittis, Mimmo Mignemi, in scena all'Elfo-Puccini dal 19 al 23 Novembre. Ho visto lo spettacolo al Teatro delle Muse di Ancona, in occasione della prima nazionale, con un pubblico divertito che si lasciava coinvolgere dalla paradossalità degli avvenimenti. Come è sua abitudine, Camilleri ha ambientato l'azione a Vigata, la città immaginata anche per il Commissario Montalbano, stabilendo, persino, la data di ciò che accadde nel 1874, come a sottolineare la condizione culturale della Sicilia, dopo l'unità d'Italia. L'occasione è data dalla inaugurazione del teatro "Re d'Italia", dove era stato annunciato il debutto dell'opera lirica "Il birraio di Preston", di un compositore poco noto, un certo Ricci. La scelta era dovuta al prefetto fiorentino Bertuzzi, nominato a Vigata, che ricordava di aver visto, alla Pergola di Firenze, la prima nazionale, con la giovane moglie, a cui ha voluto dedicare la ripresa dell'opera, anche se scopriremo che si era trattato di un altro titolo.

Per Camilleri, l'evento non era altro che un pretesto, attorno al quale costruire tante piccole storie, fatte di rivalità cittadine, di presuntuosi intellettuali che avrebbero preferito Mozart, di schermaglie ideologiche, di scontri verbali, con conseguenze violente, tra il prefetto, che si era alleato col capomafia Memé Ferraguto, e i vigatesi che non intendevano sottomettersi ad un potere in aperta combutta con la mafia. Insomma, attorno all'intreccio principale, Camilleri costruisce tanti intrecci secondari che finiscono per creare una sorta di smarrimento per chi dovrà riallacciare i fili di una trama complessa.

Giuseppe Dipasquale non ha provato nessuno smarrimento, anzi, ha immaginato uno spazio scenico neutro, come quello di un teatro, dove gli eventi si potessero rappresentare col ricorso a generi diversi: dalla commedia degli equivoci, alla commedia brillante, alla farsa, generi che, a loro volta, vengono provocati dal linguaggio fantasioso di Camilleri che alterna il dialetto con l'italiano, un linguaggio ultrarealistico, perché intriso di una sorta di stupore.

Secondo Dipasquale, la narrativa di Camilleri è costruita col gusto di meravigliare il lettore, quindi ritiene giusto stupire lo spettatore, uno stupore, però, che deve essere concepito con una sensazione di mistero e di angoscia. È lo stesso stupore che, all'inizio dello spettacolo, prova un bambino di nome Gerard che, svegliatosi di notte, si trova dinanzi a un grande incendio che, scopriremo, alla fine, ha distrutto il teatro dove si doveva rappresentare "Il Birraio di Preston".

In omaggio al Maestro, Dipasquale utilizza la sua voce fuori campo che dà l'incipit alle battute, durante le varie scene, inoltre asseconda il procedere drammaturgico, popolandolo di ricordi di fatti veri, realmente accaduti all'autore, che lui rievoca, frammentandoli, con la sua fantasia.

Ha, inoltre, immaginato che l' attore Edoardo Siravo diventasse, in scena, l'autore, col compito di coordinare le varie trame, evitando, con cura, ogni forma di realismo, essendo, lo spazio scenico, carico di immaginazione, uno spazio sospeso, come è sospesa Vigata, così come l'ha concepita lo scenografo Antonio Fiorentino, ovvero come un luogo dove è ambientata la lunga favola che Camilleri ha voluto raccontare.

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