Camorra, Cutolo chiede la grazia a Ciampi

La lettera del boss: «Sono vecchio e malato. Vorrei passare gli ultimi anni della vita a casa con la mia famiglia»

Carmine Spadafora

da Napoli

Raffaele Cutolo vuole tornare a essere un uomo libero. Ma, c’è una sola strada - per la verità, stretta e quasi certamente senza uscita - per varcare la soglia del carcere e chiudersi per sempre la porta dietro le spalle: la grazia. Ed è quello che dalla sua cella del carcere di Novara, l’ex capo della «Nuova camorra organizzata», ha fatto. Don Rafele 'o professore, ha preso carta e penna e ha scritto al presidente Ciampi. «Signor Presidente, sono vecchio e malato. Vorrei trascorrere gli ultimi anni di vita, nella mia casa, con mia moglie e i miei familiari».
Spera nella sua casa di Ottaviano, Immacolata Iacone, la donna che don Rafele conobbe in carcere e poi sposò. «Sono contenta che finalmente si sia deciso a scrivere al Presidente Ciampi. Spero proprio che il Capo dello Stato gli conceda la grazia».
Ma c’è un parere pesante sulla domanda inoltrata da Cutolo al presidente Ciampi: è quello del vescovo di Caserta, monsignor Raffaele Nogaro. «Sono contento che Raffaele Cutolo abbia chiesto la grazia. Ha fatto tanta resistenza, per anni, nel chiederla ma adesso finalmente si è deciso. E la società deve concedergliela». Monsignor Nogaro, da anni, mantiene un rapporto epistolare con l’ex boss della Nco. Giura sul suo ravvedimento e sulla sua sofferenza fisica e morale. «Cutolo sta soffrendo tanto, è rinchiuso da 40 anni in carcere, ha cambiato la sua vita.
Davanti a Dio è un uomo pentito». Davanti a Dio ma non davanti agli uomini, Cutolo è un pentito. Ha sempre rifiutato la strada della collaborazione, come invece hanno fatto negli ultimi dodici anni illustri suoi «colleghi», a cominciare da Carmine Alfieri, suo nemico storico, quando nelle strade del Napoletano e del Casertano, le bande della Nco e quelle del cartello di clan, consorziatosi nella Nuova famiglia, si ammazzavano quotidianamente, senza risparmiare le donne e i bambini.
Chi, invece non si pronuncia sulla decisione dell’ex boss della Nco, a chiedere la domanda di grazia è il suo legale, l’avvocato Paolo Trofino. «Nei prossimi giorni mi recherò nel carcere di Novara per parlare con il mio assistito e allora sarà possibile fare il punto della situazione».
Condannato a quattro ergastoli, da oltre quarantanni in carcere, in regime di 41 bis, Raffaele Cutolo verso la fine degli anni Settanta, scatenò una sorta di ’68 della camorra. Con il suo esercito di cinquemila uomini, pronti a morire ma, soprattutto, a dare morte, in nome della droga, degli appalti e del racket delle estorsioni, 'o professore cambiò le regole del gioco, impose per un lungo periodo la sua legge. Anche se Cutolo non si è mai dichiarato pentito, in diverse occasioni ha manifestato il suo distacco dalla organizzazione che aveva creato e dalla camorra. Verso la fine dell’83 si autodefini un «camorrista in pensione». Poi arrivò, il «mi pento davanti a Dio ma non davanti agli uomini», pronunciato al vescovo Nogaro. Una vera e propria abiura l’ex capo della Nco l’ha fatta scrivendo una lettera ai giudici di un processo che lo riguardava. Per giustificare la propria assenza dall’aula, ’o professore, scrisse tra l’altro che «la camorra è un mostro che fagocita tutti e uccide i giovani». Poi, aggiunse. «A che cosa vale avere un portafoglio pieno e non poter accompagnare mano nella mano un figlio a prendere un gelato sul lungomare?». Riflessioni sicuramente dettate dalla disperazione di una carcerazione lunghissima, una rarità in un Paese come l’Italia, che invece ha la scarcerazione facile. Ma, parole impensabili fino agli inizi degli anni Ottanta, per un uomo ritenuto tra i camorristi più spietati e sanguinari nella storia della camorra.

Ma, pronunciare il nome di Cutolo, significa rievocare anche intrighi come la liberazione dell’ex assessore regionale, Ciro Cirillo, oppure evasioni clamorose come quella dal manicomio giudiziario di Aversa. Commise il suo primo omicidio del ’63: uccise un uomo per difendere una donna ma quindici anni dopo, con la «sua» Nco, cominciò tutta un’altra storia.

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