Claudio Pompei
«Non ci vuole niente a chiedere la chiusura dei campi nomadi. Altra cosa è occuparsi di queste persone con umanità. Al mondo ci sono quelli che parlano e quelli che lavorano. Noi abbiamo spostato ottomila persone senza alcun incidente. Roma non è più la città della Pantanella. Ai nomadi però chiediamo il rispetto delle regole». Sono certezze incrollabili quelle espresse ieri dal sindaco Walter Veltroni a margine della conferenza di presentazione della Carta E, realizzata da Capitalia e Comunità di SantEgidio.
Non certo per spirito di contraddizione o per puro pregiudizio, ci permettiamo di fare alcune osservazioni, con la speranza di aprire finalmente uno spiraglio di sano realismo nelle «certezze» del nostro primo cittadino. Innanzitutto bisognerebbe accertare se i rom sono disponibili a dare risposte alla domanda del Campidoglio («Noi però chiediamo ai nomadi il rispetto delle regole»). Senza arrivare a conclusioni affrettate ci si potrebbe chiedere perché, ad esempio, il Comune è stato costretto - come ammette lo stesso Veltroni - a «spostare ottomila persone» da una periferia allaltra della città senza, peraltro - aggiungiamo noi - risolvere il problema. Forse la risposta alla domanda sul rispetto delle regole si può dedurre proprio dalla necessità di continui spostamenti che, nella realtà, si traducono nella sistematica creazione di nuovi ghetti.
Gli spostamenti si rendono necessari per tanti motivi: leccessiva presenza di persone allinterno di aree sosta attrezzate. E qui siamo in presenza della prima violazione delle regole: i nomadi, per loro natura e abitudine, non sopportano controlli, censimenti, carte di accesso ai campi (come era stato ipotizzato una decina di anni fa per Tor de Cenci). Dal sovrappopolamento dei campi al degrado igienico-sanitario il passo è brevissimo: quindi ogni tanto cè bisogno delle ruspe e di massicci interventi di derattizzazione. Poi, ancora, la piaga dei furti: i nomadi hanno uno strano concetto della proprietà privata. Essi stessi ammettono di praticare il furto come mezzo di sostentamento. Perciò, altro che rispetto delle regole... Addirittura nei campi la quasi totalità dei minori viene addestrata al borseggio, allo scippo e, se va bene, allelemosina. Le regole - quelle imposte dai capiclan - sono severe: per chi torna al campo senza «bottino» o, peggio, accompagnato da vigili o agenti, sono botte. È una realtà, questa, assai triste; che non si può continuare a ignorare.
Negli ultimi tempi, inoltre - come hanno dimostrato la cronaca nera e quella giudiziaria - per rincorrere guadagni sempre più consistenti molti nomadi non hanno esitato a buttarsi nel mercato della prostituzione, gestendo soprattutto sventurate ragazze dellEst europeo, od organizzando «giri» di minorenni per pedofili. Lultima fonte di guadagno - anche questa facile - è quella dei furti di rame, che vengono perpetrati nottetempo nei cantieri o addirittura lungo le linee ferroviarie. I sequestri di tonnellate del prezioso materiale da parte delle forze dellordine nei campi sosta non si contano più. Una variante è quella dei furti dei tombini di ghisa dalle strade, che rappresentano un serio pericolo per motociclisti e automobilisti: anche questa lega metallica viene pagata bene da riciclatori senza scrupoli.
Sono solo alcuni degli esempi che aiutano a capire perché sono così frequenti le proteste degli abitanti dei quartieri che, di volta in volta, si trovano a dover «convivere», loro malgrado, con comunità così problematiche. Ma il Campidoglio, negli ultimi tredici anni, cosa ha fatto per risolvere lemergenza rom? Ha speso prima miliardi di lire, ora milioni di euro, per attrezzare campi sosta temporanei, pagare disinfestazioni e bonifiche, pagare linee di bus che collegano i campi sosta al più vicino capolinea o al metrò (a proposito, avete mai visto un nomade pagare il biglietto dellAtac?). Il Comune continua anche a distribuire contributi a pioggia ad associazioni che dovrebbero occuparsi di accompagnare gli zingarelli a scuola e assistere i nomadi nelle loro molteplici attività.
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