Roma

Canapina, un museo celebra la civiltà contadina

Di Canapina, nel viterbese si dice: «Passa e cammina». O, peggio: «Gli abitanti danno del tu alle persone e del voi agli animali». Maldicenze che lasciano del tutto indifferenti i canepinesi che, invece, non si stancano mai di lodare la bellezza e la salubrità del territorio che li circonda. Come esaltano la piccola storia di un paese che si addormenta placido tra i boschi dei monti Cimini. Per quanto riguarda l’origine del suo toponimo l’accostamento alla parola canapa non sembra peregrino perché la sua lavorazione era diffusa fino a tempi recenti. Ma c’è anche chi sostiene che il toponimo possa derivare dal termine locale «canepine», che indica un terreno irriguo: e, infatti, la zona è ricca di corsi d’acqua. D’altra parte, a testimoniare di più illustri e quasi remote fondamenta, ci sono ancora vigili presenze archeologiche, i resti di insediamenti risalenti al periodo etrusco e romano. Un esempio per tutti: a circa un chilometro dal centro abitato esiste ancora il Santuario di Arcella-Fontana Rosa, un tempio rupestre legato al culto delle acque salutari, dove si leggono iscrizioni votive rivolte a ingraziarsi la Bona Valetudo e la Bonadia Castrensis. Nel 1093 Canepina fu infeudata all’Abbazia di Farfa e, nel 1154, al tempo del pontificato di Alessandro IV, il castello venne annesso al patrimonio della sede di Pietro. E, salvo una breve parentesi sotto ai Farnese, si ritrovò ricoperto dalla tiara pontificia fino all’Unità.
Da vedere. Oggi della rocca, un tempo poderosa e maschia, rimangono pochi resti abbastanza deruti. Un discorso a parte meritano, invece, le emergenze architettoniche e monumentali: il Palazzo Comunale eretto dai Farnese nel XVII secolo e la sangallesca Chiesa di Santa Maria Assunta costruita agli inizi del Cinquecento. All’ingresso del paese sorge la Chiesa di San Michele Arcangelo, in stile tardo-rinascimentale, che conserva una crocifissione «restaurata» dal Balletta nel XV secolo. Infine, un cenno a parte merita il museo delle tradizioni popolari, unico in provincia di Viterbo, con sezioni dedicate ai mestieri, alla vita quotidiana e alle feste tradizionali del mondo contadino.
Da mangiare, da bere. Buona parte degli abitanti di Canepina continua ad affidarsi all’economia del bosco: castagne e nocciole. Il paese, tuttavia, non trascura la buona cucina. Due piatti della cucina locale meritano sicuramente l’asterisco dell’eccellenza: il «fieno» è una pasta all’uovo leggerissima tagliata a mano a mo’ di capellini che si condisce con una salsa a base di pomodoro, formaggio pecorino e, talvolta, rigaglie di pollo. I «ceciliani» sono invece una sorta di bucatini (acqua, uova e farina), ricavati a mano utilizzando un ferro da calza; il condimento è simile a quello del «fieno».

Non mancano altre specialità: i tozzetti (dolci a base di nocciole) e liquori di sapore di nocciole e castagne.

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