Cultura e Spettacoli

Un cane sciolto che non molla l’osso della vita

Segnato dalla vita ma mai piegato. Un ribelle nihilista che paradossalmente usa l’arma dell’amore per sconfiggere la morte. Un amore tutto speciale, per la vita, per la lotta politica, «per una donna assoluta». Queste le incrollabili linee guida che Cesare Ferri - romanziere e autore di commedie che paga ancor oggi la sua militanza ideologica nella destra anni Settanta - proietta in Arrigo Solani, il suo alter ego protagonista di Una sera d’inverno (Edizioni Settimo Sigillo, pagg. 156, euro 15). Una storia normalmente epica che riflette il passato - i flashback delle passionali avventure coi «camerati» - per inserirsi nel presente mescolando vita vera e ricordo. Come scrive Andrea Bedetti nella postfazione, «Arrigo fa dei ricordi il suo manifesto convertendoli in uno stile di vita grazie al quale, come un ronin dei giorni nostri, diventa un cane sciolto senza più padrone, in attesa della morte».
Ma non rinuncia a lottare; va a vivere in un paesino di provincia lasciando la città (lui che come Rosa Luxembourg e Joseph Goebbels l’ha vissuta come campo di battaglia) ma la sua non è né una fuga né un rinnegare la storia. Piuttosto il disgusto per una società che sembra respingerlo almeno quanto lui la rifiuta. Lì potrà vivere in pace la sua angoscia, i suoi dolori, incontrando la giovane e «ignorante» Cinzia, ragazza di paese in cui riflette come in uno specchio la rivolta, la galera, le sue mille riflessioni di «avversario politico sconfitto al quale si deve imporre un ostracismo esistenziale». Potrà liberare i suoi incubi scrivendo articoli per giornali e romanzi; potrà rendere concreta la sua visione dell’amore attraverso la storia con Veronica; potrà sublimarla - sempre a modo suo - con un figlio... «Un figlio, un grande gesto d’amore in una vita che prima di allora con quel tipo d’amore non aveva mai avuto niente a che fare. Amore per un’idea, per i camerati, per un sogno, ma mai amore per una donna e per un figlio. Soltanto a suo figlio avrebbe potuto lasciare in eredità ciò che sapeva e ciò in cui credeva».
Ma allora è amore od egoismo? Un complesso groviglio di sentimenti che animano Arrigo, un uomo per cui Dio non ha previsto l’happy end. Non c’è pace per il ribelle, e dopo la lunga attesa il bambino, Ulderico, nasce con l’encefalocele, una mancata chiusura del cranio con fuoriuscita del cervello. Morirà nel giro di quarantotto ore e con lui se ne andrà per sempre qualcosa dentro Arrigo. «Non c’è nulla di più devastante del vivere nascita e morte in un solo giorno. Sono stato di nuovo colpito da un destino infame». Soffre come un cane ma non lo fa vedere e non molla. Smonta subito con controllata disperazione la camera del bimbo («Avrebbe dovuto essere la sua stanza, ma sembra il suo sacrario»); distrugge il rapporto con Veronica, amici non ne ha più (i suoi fratelli camerati se li è portati via la morte o il carcere, gli altri duettano con la vita borghese).

È la fine? Per Arrigo Solani(sempre più trasfigurato in Cesare Ferri)è solo un nuovo imprevedibile punto di ripartenza all’insegna dell’«io resisterò», motto dell’alchimista John Dee nel romanzo di Gustav Meyrink L’angelo della finestra d’Occidente.

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