Cani-schiavi, il nuovo business dei clan criminali

Combattimenti clandestini, tratta di cani per la vivisezione, vendita di cuccioli nei paesi del nord europa, canili lager dove una gabbia diventa un loculo per i quattrozampe che hanno la sfortuna di entrarci vivi. Eccolo il nuovo (ma neanche tanto) businness della malavita. Mafia, 'ndrangheta, corona unita: i delinquenti non fanno differenza quando si tratta fare affari sfruttando deboli silenziosi. Che parlano solo con gli occhi e non possono dire le angherie che subiscono o le sevizie cui sono sottoposti quando fa comodo ai padroni dei cosiddetti canili privati. A leggere queste cose molti faranno spallucce, in fondo sono solo cani. Altri fingeranno sorpresa e coccoleranno il loro cane di razza pensando che il mondo canino sia sempre e solo dorato. Pochi hanno invece la forza di denunciare questo sconcio nazionale. Come i volontari dell'Aidaa, che, dopo un'inchiesta di tre anni, hanno presentato un resoconto da paura. E ora diverse procure del sud dovranno indagare su ben 82 canili privati gestiti direttamente o attraverso fiduciari dalla malavita. Lorenzo Croce, presidente nazionale di Aidaa, spiega che la malavita usa i canili come «vero e proprio centro di business clandestino». In pratica i cani sono trattati come carne da macello per far lievitare i guadagni a cifre superiori ai 100 milioni di euro l'anno. Le regioni che detengono il primato dei canili lager sono al sud: Campania, Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia, qualche caso nel centro-nord italia. In questi ricoveri abbandonati al loro destino i cani vivono come galline in gabbie piccole e luride, mangiano poco e male, non escono mai e non vengono adottati a nessuno perché i gestori non hanno interesse ad affidarli: i comuni pagano una retta quotidiana per la gestione di ogni randagio. Peccato, però, che sui 22 milioni versati, solo un terzo è stato speso effettivamente per la gestione degli animali. Gli altri sono finiti nelle tasche della malavita a cui interessa solo far numero nelle gabbie-pollaio per far lievitare le rette da intascare. Negli 82 canili lager, per esempio, sono stipati 35.000 cani mentre dovrebbero essercene meno di 20 mila. Ma non c'è Asl che si degni di andare a controllare cosa succede in questi postacci dove fiorisce un redditizio mercato di cani destinati alla vivisezione. I cuccioli invece finiscono dal canile al nord europa, germania in testa dove si pagano bene, anche 200 euro. Quelli più sfortunati vengono invece fatti a pezzi nei combattimenti clandestini, florido mercato da milioni di euro l'anno. Di fronte a tutto questo c'è da chiedersi che senso abbia sostenere l'esistenza dei canili. Se lo chiede anche Angelo Troi, veterinario. Su Affari Italiani lancia una proposta choc che apre un dibattito a cui anche il ministro Michela Vittoria Brambilla, animalista e proprietaria di un canile, potrebbe partecipare. «È meglio continuare a soffrire in una gabbia o accettare l'eutanasia come estremo, pietoso, coraggioso, ultimo atto di affetto e rispetto verso animali che hanno diritto a non essere strumenti di biechi interessi?» si domanda il medico. L'idea, lanciata solo da uno che ama gli animali, non è così peregrina, perché viene pacificamente accettata nella quasi totalità degli stati, usa in testa. Una morte dolce o una vita da cani in gabbia? Troi non ha dubbi, perchè «i cani sono imprigionati nei canili, anche in quelli milionari, tirati su a suon di cemento e consulenze.

I cani soffrono comunque, perché il sistema non è incentrato su di loro, ma sui carcerieri che ne traggono ancora l'ultimo guadagno, quello di presentarsi come anime pie nascondendo la realtà delle cose. I cani soffrono perché, oltre alle situazioni di carenze igieniche e strutturali vengono privati del diritto ad una vera esistenza».

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