Roma - Onorevole Cannavò, anche lei è ormai fuori dalla maggioranza. Si sente più triste?
«Più libero, direi».
Non ha dei ripensamenti, su una scelta così importante?
«Se mai li avessi, ci pensa Prodi».
In che senso?
«Che ogni giorno si inventa qualcosa per tornare a motivarmi nelle mie ragioni di distacco».
Lei ora dice così perché ha preso una strada, e non vuole avere dubbi o rimorsi.
«No, dico sul serio. Il decreto sicurezza, per esempio, non me lo sarei mai immaginato così brutto, se mi avessero chiesto di fare un pronostico a tavolino».
E invece?
«Lo considero lesivo dei diritti di molti deboli, di migranti che non hanno strumenti per difendersi».
Però ci sono state le parole di Prodi sui salari...
«Sia cortese, non me ne parli».
Devo arguire che non l’hanno soddisfatta?
«Concertazione a perdere».
Ovvero?
«Dietro i proclami entusiastici si nasconde il principio letale che il reddito deve essere agganciato alla produttività a scapito dei contratti».
E quindi?
«Si ritorna ancora una volta al principio che la flessibilità si fa sulle buste paga e sulla pelle dei lavoratori».
Lo dice del governo che ha sostenuto per due anni?
«Sì. Perché vedo che Prodi, per nascondere la sua debolezza prova ad appoggiarsi sue due sostegni: i sindacati e la Confindustria».
Ma lei cosa avrebbe voluto?
«Le dico tre cose che si potevano e si possono fare: ripristinare un meccanismo automatico di crescita sui salari.
Una rivoluzione?
«No, cose che in forma blanda stavano nel nostro programma».
E si faranno, secondo lei?
«Nemmeno una. È questo il problema!».
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