È partita l’offensiva della Rai, più veloce della luce, contro i «disobbedienti» che hanno chiesto la disdetta del canone della tv pubblica. I lettori del Giornale che hanno aderito alla nostra campagna sono stati «prontamente» (e quasi minacciosamente) messi sull’avviso. «Diteci dove abitate e quanti televisori avete e dateci un recapito per fissare un appuntamento e suggellare le vostre tv. Avete solo 15 giorni», recita sostanzialmente la missiva dell’Agenzia delle Entrate arrivata a casa delle migliaia di telespettatori stanchi della sinistra deriva della Rai e intenzionati a chiudere i conti, quelli veri, con Viale Mazzini. Stavolta il carrozzone della tv pubblica si è mosso con una rapidità da ghepardo, perché ha paura di perderci un bel po’ di quattrini. E adesso?
Niente paura. Nessuno può varcare la soglia di casa vostra a suggellare la tv senza il vostro consenso o un mandato del giudice. È vero che la lettera fissa un termine di 15 giorni entro i quali rispondere, ma è anche vero che la lettera è stata inviata per posta ordinaria, non per raccomandata. Questo significa che è sostanzialmente impossibile per il mittente stabilire la data esatta e persino l’eventuale ricezione della missiva. È una «scelta» sulla quale è opportuno un ragionamento che faremo più avanti. L’altro elemento sul quale ragionare è l’espresso riferimento alla «richiesta di suggellamento» e non già della richiesta di rescissione del canone Rai. È pur vero che all’inizio l’Agenzia delle Entrate scrive «per rendere efficace la denuncia di cessazione...» rispondete con i vostri dati, eccetera, ma è altrettanto vero che un passaggio successivo recita: «La mancata restituzione della dichiarazione (...) renderà definitivamente inefficace la richiesta di suggellamento da Lei inoltrata». Ecco il punto.
La disdetta del canone, come peraltro conferma Alessandro Drei, legale di una delle associazioni dei consumatori, è un aspetto: il suggellamento della tv è un’altro. Dunque, stando a quanto recita la lettera, la richiesta di rescissione del canone vive di vita propria e non è necessariamente subordinata all’effettivo suggellamento della tv: quest’operazione è un elemento, potremmo dire, «accessorio» alla disdetta. La cui validità non può essere scalfita da una lettera ordinaria.
Peraltro, come tutti sanno, l’Agenzia delle Entrate è già a conoscenza di tutte le informazioni che richiede tramite la lettera: residenza anagrafica, composizione della famiglia, eccetera. Perché dunque chiedere all’utente elementi di cui si è già a conoscenza? Questa domanda andrebbe rivolta all’Erario, ma proviamo ad azzardare una risposta. Il fisco ha sempre fame di notizie e di riscontri, da incrociare con una serie di altre informazioni in suo possesso ma non immediatamente verificabili senza «avvertire» l’utente che è nel mirino. Tra il 2002 e il 2005 alcuni solerti impiegati Rai andarono in giro per l’Italia a far firmare ai cittadini documenti in cui, senza far alcun riferimento al canone, si doveva rispondere all’innocente domanda: «Lei possiede una tv?». Nel 2006, durante il tragicomico biennio Prodi-Visco, le risposte vennero messe in un magico frullatore, e l’esito fu mefitico (almeno secondo i giornali di allora): l’elenco con nome e cognome di qualche decina di migliaia di «evasori» venne girato alla Guardia di Finanza con la consegna di far pagare loro, tra arretrati e more, circa 400 euro a testa.
In molti sembrano dunque intenzionati a non dare alcun seguito a questa missiva. Altri, invece, hanno già risposto. E ora aspettano che qualcuno in divisa, nella data concordata dall’utente «decanonizzato» (altrimenti, va chiarito, serve un mandato della magistratura) venga a casa loro a infilare la tv in un sacco di juta, metterci due sigilli di piombo con la cera lacca e amen. Succederà davvero? È presto per dirlo. Ma secondo le associazioni di consumatori, sarà molto difficile che avvenga.
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