Pagare una tassa per un servizio del quale non si usufruisce è qualcosa che fa imbestialire i contribuenti. Di qui la pioggia di ricorsi, circa un migliaio, che sono piovuti alla sede piemontese del Garante per il contribuente da parte di coloro che si sono visti recapitare i solleciti al pagamento del canone Rai pur avendo disdetto l’abbonamento o non possedendo più una tv ma un semplice personal computer o un videofonino. Il caso è stato sollevato ieri da Repubblica e ha provocato una serie di reazioni, ovviamente tutte negative.
Tranne una, quella di Viale Mazzini. «Il canone televisivo - ha precisato l’ufficio stampa della Rai - è una tassa che viene pagata allo Stato in base alla legge e che lo Stato poi riversa alla Rai in base al contratto di servizio. Le ingiunzioni sono infatti firmate dal Sat (sportello abbonamenti tv; ndr) che dipende dal ministero dell’Economia ». Un esempio di polizia fiscale? A prima vista sembrerebbe di sì, ma in realtà si tratta di un altro esempio di burocrazia che massacra il cittadino. «Nelle lettere - ha spiegato il presidente dell’ufficio piemontese del Garante, Silvio Pieri - si usano toni minatori: si paventano blocchi amministrativi e pignoramenti senza che la legge lo preveda. Valutiamo la possibilità di un esposto per abuso d’ufficio». Tanto è bastato perché il verde Angelo Bonelli insorgesse. «È un inaccettabile attacco al popolo del web - ha dichiarato - perché le lettere che ingiungono il pagamento del canone sono un atto illegittimo». D’altronde, la sinistra radicale è quella che più si è battuta per la «liberazione» di tutte le piattaforme software.
«Chiederò un immediato intervento del ministro e dell’Authority delle Comunicazioni », ha concluso Bonelli. Anche il leghista Dario Galli, capogruppo del Carroccio in Vigilanza Rai, non l’ha presa bene. «Sarebbe più utile una revisione critica delle proprie strategie - ha detto - e una verifica attenta della qualità dei programmi piuttosto che accanirsi contro i poveri cittadini, già sufficientemente vessati dalle tasse pubbliche». Galli ha pure ricordato una delle tante battaglie leghiste: «Perché mai i cittadini padani dovrebbero pagare per un servizio che non li riguarda minimamente? Perché, nonostante questo, la sola città di Varese con 80mila abitanti paga più canone della città di Napoli che ne ha 10 volte di più?». Le questioni restano tutto sommato irrisolte. La legge, risalente al 1938, è dalla parte dello Stato e prevede che il tributo sia dovuto quando si possiede un «apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle radioaudizioni ». Quindi, nel caso in cui si possieda un modulatore tv per il pc si dovrebbe pagare.
Allo stesso modo, coloro che hanno disdetto l’abbonamento Rai si trovano ad affrontare un calvario: moduli da compilare, tassa per
il suggellamento (che non viene più effettuato) e via discorrendo. E meno male che gli acquirenti di televisori non vengono più «schedati» come una volta, altrimenti il numero dei ricorsi sarebbe sicuramente maggiore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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