«Canto per la Disney perché in fondo sono un Aristogatto»

da Milano

Con quella voce ti potrebbe leggere l’elenco telefonico, e gli indirizzi civici si trasformerebbero in musica. Perché un timbro così non te lo procuri ai corsi di canto, o nei passaggi tv alla X Factor. O ce l’hai o non ce l’hai. Mario Biondi ha fatto sapere di averlo e la piazza sembra averlo gradito: il suo primo album, Handful Of Soul uscito nel 2006, ha conquistato dischi d’oro e di platino, il suo doppio album dal vivo I Love You More Live, uscito a fine novembre, ha fatto il bis.
Lui sarebbe nato a Catania, ma vallo a spiegare a chi, in Italia e all’estero, lo ascolta e corre col pensiero a Barry White, Bill Whiters, Al Jarreau. È possibile nascere nella Magna Grecia, essere amici di Fiorello, sentirsi italiano al cento per cento, eppure evocare l’America del soul, delle big orchestre, e soprattutto dire quel che si ha da dire in inglese? Evidentemente sì. Mario Biondi e la sua voce nero pece sono passati dal Blue Note, tempio del jazz milanese, in occasione della presentazione dell’ultimo dvd di casa Disney, l’edizione restaurata de Gli Aristogatti, il titolo più jazz della storia di Topolino & company.
Il soulman catanese con il fido The High Five Quintet ha reinterpretato per il dvd (in uscita il 16 aprile) due dei brani più belli del film, Everybody Wants To Be A Cat e Thomas O’Malley. Un modo per scaldare la voce: in attesa del nuovo disco, di un tour estivo italiano e di uno, sempre più probabile, in America.
Che fa, Biondi, si mette a fare l’Aristogatto? «E mi sembra anche giusto. Sapete come vengono chiamati in America i musicisti jazz? Esattamente cat, gatto. Io un gatto lo sono stato da sempre, oggi ho solo pagato un tributo a un film che ha segnato la mia infanzia, insieme a Il Libro della Giungla. E poi io, che ho cinque figli, non posso che rispondere a una chiamata della Disney, anche solo per farci una bella figura a casa».
Difatti, c’è già chi ipotizza un suo album di rivisitazioni swing dei brani più belli della Disney. «Mai dire mai. Un progetto del genere lo realizzerei senz’altro».
A trovare il tempo, però: questo per lei è un periodo tutto di corsa, o sbaglio? Scala le classifiche, va alla corte di Fiorello a Viva Radio 2 Minuti, ora si parla anche del grande salto in America... «Effettivamente sì. E la cosa non può che farmi piacere. La gavetta me la sono fatta, ora sto raccogliendo parecchie soddisfazioni. Con Rosario, poi, è stato uno spasso: lui è un vulcano, un motorino elettrico sempre in funzione. Ha la capacità di stimolarti ogni secondo che sei con lui sulla scena». Con Fiorello, dunque, ci lavorerebbe ancora volentieri: «Senza pensarci due volte. Condividiamo passioni musicali, siamo della stessa terra. Chissà, magari in futuro, potrà esserci uno spettacolo o qualcosa di simile a questo progetto della Disney. D’altronde lui ha già fatto qualcosa col cinema».
Intanto, c’è la sua missione swing da portare avanti: «Sì. Diciamo che sono davanti a un bivio: buttarmi anima e corpo sul nuovo album, del quale ho già parecchio materiale nel cassetto, o concentrarmi sul tour negli Usa. Senza contare che ho per le mani un altro progetto: sono in contatto col celebre produttore americano Bob Colomby per una collaborazione col trombettista Chris Botti. Non voglio farmi prendere dall’ansia: devo muovermi nei tempi giusti».


Anche perché sbagliare i tempi sarebbe molto poco jazz. Ci levi una curiosità: c’è un brano perfetto per Mario Biondi? «Se devo scegliere il brano jazz perfetto, dico My Funny Valentine. Lì dentro c’è tutto ciò che si può volere dalla musica».

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