
Da anni desideravo scrivere qualcosa su un autore che ammiro, Andrea Di Consoli. Poi non l'ho mai fatto, nemmeno io so perché. Forse aspettavo un libro che spalancasse per intero la bellezza sporca, la perfezione ibrida della sua scrittura. Ora mi sembra di averlo trovato (o forse sono cambiate le mie aspettative). Il canto silenzioso degli amici (Rubbettino, pagg. 215, euro 18), tra romanzo e confessione, è composto da una serie di brevi capitoli ciascuno dei quali ha un suo micro-centro: la ripresa della conversazione con il figlio, l'amore spezzato per una donna (vero leit-motiv), gli orari sballati - con annessa vita - del cronista di provincia, le confessioni di un barbiere, l'incontro con un amico dopo tanti anni, il vizio del fumo, la madre contadina, la nascita in esilio (Svizzera), i viaggi nell'Ucraina devastata.
Sono racconti semplici, spesso duri ma di grande piacevolezza alla lettura, che affascinano perché in ciascuno di essi brilla, senza mai presentarsi sulla scena, la realtà complicata, dolorosa ma mai del tutto negativa della vita. Spesso non facciamo caso al fatto che, se tutto fosse davvero negativo, noi non potremmo nemmeno iniziare a raccontare.
Le frasi brevi, gli a-capo frequenti, la scrittura di Andrea Di Consoli guarda con sospetto la sintassi complessa, e con pazienza cartesiana affronta, capitolo dopo capitolo, l'enorme complessità della vita cercando di isolarne i fattori semplici, quasi elementari, che la compongono.
Si tratta di un espediente narrativo, sia chiaro. Se in questo grande groviglio, che è la vita, qualcosa di inspiegabile riluce (alzi la mano chi ritiene di avere tutta la vita, ricordi inclusi, sotto controllo), non è che la sua divisione in tanti piccoli racconti valga a svelare la natura di quel mistero. Che se ne rimarrà, sullo sfondo, indifferente a qualunque chimica.
Descrivere quel mistero resistendo a ogni forma di interpretazione è, secondo me, il grande compito, la grande sfida della Letteratura. Nemmeno Dante, che pure gli dà un nome ben preciso e catalogabile ("l'amor che mòve il sole e l'altre stelle") può dissipare il mistero, che è lo stesso per cui Anna Karenina si uccide pensando alla propria prima giovinezza e Don Chisciotte riacquista il proprio nome e soprannome (Alonso Chisciana il Buono).
Ad ogni buon conto, Di Consoli vuole precisare di ritenersi (o forse di volersi) "scrittore minore". Tiene alla propria marginalità, alle proprie camicie senza cravatta, alle notti di cronista, alle immancabili sigarette che sembrano formare il velo perenne per vedere attraverso il quale il suo sguardo sulle cose è costretto a farsi più acuto, più ostinato. Non figura nella classifica dei più importanti scrittori, odia le classifiche perché si è scrittori se le nostre parole diventano avvenimenti nella vita di qualcun altro (il resto è industria). Lui per esempio cita Domenico Rea, Fabrizia Ramondino, L'amore molesto di Elena Ferrante, "che mi aveva colpito come una fucilata".
Dall'osservatorio di questa voluta minorità, Di Consoli esplora quel mistero comune a tutti noi, e secondo me riesce a dargli un nome, che trapela dal titolo, dove si parla di canto, di silenzio e soprattutto di amicizia - anzi, di amici, ossia corpi, storie.
Difficile trovare un brano da citare, perché si vorrebbe citare tutto il libro. Ecco come inizia: "Da qualche mese mio figlio Claudio lavora in un bar di San Lorenzo.
Quando torna a casa mi racconta tanti fatti del bar - e in lui sento una grande conoscenza del popolo italiano.
Da piccolo non ho mai detto a mio figlio di leggere un libro, e forse per questo non fa altro che leggere.
Ho trascorso tutta la giovinezza lavorando nei ristoranti e negli alberghi del Sud.
Se vuoi conoscere gli italiani, devi servirli a tavola (...)".
Il capitolo si chiude con il figlio che torna a casa alle tre di notte con un vassoio di brioches per la colazione della famiglia. "... mi chiedevo, tanti anni fa, cosa avrebbe fatto Claudio da grande.
Ecco cosa fa un figlio quando diventa grande: pensa a portare a casa i cornetti quando finisce il suo turno di lavoro.
Pensa a proteggere qualcuno (...)".
Da qui si comprende il senso di quel "canto silenzioso". Chi può ascoltare quel canto? Mi sembra di poter dire che lo potrà ascoltare chi non avrà chiuso le porte a quel mistero di fondo, e questo non dipende solo dalle decisioni di fondo (su Dio, sul senso della vita ecc...) ma da tutte le volte che un uomo riesce a non dire "no". Perché negare Dio è un po' come chiudere un amore, o rinnegare un figlio.
Non sono Dio, o l'amore, o il figlio a pesare: è il "no" con il quale tagliamo via da noi un pezzo della materia di cui siamo fatti.Meglio allora sostare, la notte, sul balcone di casa, a fumare sopportando l'insonnia e guardando la vita, giù da basso, che violentemente, ostinatamente rinasce.