C’è il giudice del copia e incolla, specializzato nel riprodurre per pagine e pagine le memorie scritte dagli avvocati (leggi qui). Senza ritegno. C’è il magistrato che concede ad un detenuto, e non è una barzelletta, il permesso di incontrare la figlia per il compleanno, ma firma l’atto dodici volte in dodici mesi (leggi qui). Poi non contento si supera: dà a un altro carcerato l’ok per far visita al fratello in punto di morte; solo che qualche tempo prima l’aveva autorizzato a partecipare al funerale dello stesso fratello, risorto dunque per l’occasione. Senza memoria. E c’è la toga che pensa di essere sul set di un qualche film sgangherato, dove il copione è infarcito di parolacce e insulti (leggi qui). Frasi offensive che lui indirizza agli stimati colleghi, invitandoli a «non prenderlo per il c...» e chiedendo infine un’inverosimile «perizia “anofonica” perché ormai non si è più sicuri neanche nell’intimità del cesso». Sono alcune delle storie trattate dalla Sezione disciplinare del Csm e raccolte nel libro La legge siamo noi, la casta della giustizia italiana, Piemme.
Storie incredibili, accadute in Italia negli ultimi anni e spesso chiuse dal tribunale dei giudici con sentenze di assoluzione. Oppure con condanne all’acqua di rose. Una tendenza che, per fortuna, negli ultimi tempi comincia a cambiare. Con verdetti più misurati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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