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Caos in Libia: perché Gheddafi non deve cadere

Proteste anche in Libia, scontri con morti e feriti a Bengasi. E per oggi è stata proclamata la "Giornata della collera". Ma il Colonnello per ora non vacilla. I nostri 007 però sono in allerta: "Se cade lui, un esodo insostenibile per noi"

Caos in Libia: perché Gheddafi non deve cadere

Adesso tocca alla Libia, ma il colonnello Gheddafi è ben più saldo al potere rispetto all’ex presidente tunisino Ben Alì e l’ultimo faraone, Hosni Mubarak, disarcionato in Egitto. A Bengasi, fra martedì e mercoledì sono scoppiati violenti scontri. Almeno 14 persone, in gran parte delle forze dell’ordine, sarebbero rimaste ferite. Notizie non confermate parlano di uno o due morti. E oggi l’opposizione clandestina al regime ha lanciato la prima giornata della collera. Gheddafi sta giocando d’anticipo e pure i suoi Comitati rivoluzionari scenderanno in piazza a Tripoli, come hanno già fatto ieri in diverse città del paese inneggiando al colonnello. La situazione, però, rimane incandescente con il figlio più noto di Gheddafi, Seif el Islam, che da tempo critica il padre e chiede maggiori aperture democratiche.
L’allarme ci riguarda da vicino. Se crollasse il regime, come in Tunisia ed Egitto, la Libia potrebbe ridiventare il principale punto di partenza dei clandestini di mezza Africa verso l’Italia e l’Europa.
Bengasi è la seconda città libica, nel nord est del paese, storica roccaforte anti Gheddafi, fin dal colpo di stato del 1969 che lo portò al potere. Sembra che la scintilla delle manifestazioni di protesta sia stato l’arresto di Fathi Tarbal, attivista dei diritti umani che da sempre si batte per rendere giustizia ai 1.200 prigionieri del carcere di Abu Salim a Tripoli massacrati nel 1996. Molti parenti delle vittime vivono a Bengasi e sono scesi in piazza per protesta. Il vento di rivolta che soffia dalla vicina Tunisia e dall’Egitto ha fatto il resto. L’attivista dei diritti umani sarebbe stato rilasciato, ma la folla è rimasta in piazza e sono scoppiati gli incidenti. Delle immagini girate con un telefonino fanno vedere i manifestanti che urlano contro il regime. Poi si sente una fitta sparatoria. E subito dopo un giovane insanguinato e privo di sensi viene portato via a braccia.
Gran parte delle notizie sugli incidenti sono state pubblicate da Qurina, il giornale vicino a Seif Al Islam, il figlio migliore di Gheddafi. Lo scorso anno, incontrando una giornalista di Time, ha ribadito il bisogno urgente di riforme dopo 41 anni di potere del padre. «Il mondo intero sta attraversando una fase di maggiore libertà e democrazia - ha dichiarato Seif Al Islam -. Noi vogliamo vedere questi cambiamenti adesso, invece che tra 10 o 15 anni».
Non è un caso che proprio il rampollo ribelle abbia catalizzato attorno a sé, gli ex del Gruppo islamico combattente libico, costola di Al Qaida, che hanno deciso di abbandonare la lotta armata. Uno di questi è il loro leader, Noman Benotman, che combattè in Afghanistan. Proprio ieri dovevano venir liberati gli ultimi 110 combattenti islamici dal carcere di Tripoli nel quadro dell’accordo di pacificazione ideato da Seif Al Islam. E guarda caso molti degli ex guerriglieri sono originari di Bengasi e dintorni.
Dal 5 febbraio circola su internet l’appello per la «giornata della collera» convocata oggi per «mettere da parte Gheddafi, tutti i membri della sua famiglia e avviare le riforme». Tra i firmatari dell’appello ci sono gruppi d’opposizione rifugiati all’estero o clandestini come il partito Repubblicano per la democrazia e la giustizia sociale, il Fronte nazionale per la salvezza della Libia ed il Movimento islamico.
La destabilizzazione della Libia rischia di riaprire il flusso di clandestini vero l’Italia. Lo stesso Gheddafi, pochi mesi fa, aveva chiesto 5 miliardi di euro all’Ue, per «fermare» i clandestini altrimenti «un altro continente si riverserà in Europa». Da Bruxelles, l’europarlamentare del Pdl, Marco Scurria, teme che «le sommosse popolari di questi giorni in Tunisia, Egitto e da ieri anche in Libia» possano riversare «altre decine di migliaia di profughi sulle coste siciliane».
Lunedì scorso si è riunito al Viminale il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Nessuno avrebbe incolpato il governo libico di tramare per favorire i nuovi arrivi dei clandestini, come ha scritto ieri Repubblica. I nostri servizi segreti, invece, temono «un esodo (verso l’Italia nda) di proporzioni difficilmente sostenibili», se il regime libico venisse travolto come quello in Tunisia ed Egitto.
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