Capigruppo in processione sul Colle per l’ultima strigliata di Napolitano

RomaTesta bassa, parole di circostanza, la promessa di non farlo mai più: tutti i capigruppo hanno recitato lo stesso copione. Giorgio Napolitano, dopo averli strigliati per due giorni, «spera» di aver riportato la calma. Ma si fida solo fino a un certo punto: «Dicono di aver capito e si sono impegnati a riportare il confronto politico in un argine di normalità. Dicono».
Confronti serrati, a volte anche tesi. Nello studio del presidente le delegazioni si sono succedute una dopo l’altra, come di fronte a una vera crisi di governo, e hanno dovuto ascoltare il «richiamo fermo» di Napolitano, infuriato dopo gli scontri e gli insulti dentro Montecitorio: «Datevi una regolata, perché così non si va avanti. Andrà a finire che la politica darà una spallata a se stessa». La minaccia di interrompere la legislatura è rimasta formalmente inespressa, ma ben chiara a tutti gli interlocutori. «Non c’è stato un riferimento esplicito - raccontano i rappresentanti dell’Idv -, piuttosto un preavviso». Dal Colle precisano che «il capo dello Stato non minaccia di sciogliere le Camere». Semmai, se ritiene, agisce. E la paralisi del Parlamento, o anche di uno solo dei due rami, rientra perfettamente nelle ipotesi previste dalla Costituzione per cui il presidente della Repubblica può, deve rimandare tutti a casa.
Questo non significa che le elezioni anticipate siano più vicine: anzi, Napolitano è «ben conscio» che Silvio Berlusconi ha i numeri per governare e che quindi le condizioni politiche per uno scioglimento, almeno per ora non ci sono. Previsioni confermate in serata, dopo un contatto Colle-Palazzo Chigi. La mossa del Quirinale va quindi letta come un estremo «avviso ai naviganti» in rotta verso gli scogli. E la forza dell’intervento, fanno notare, oltre alle parole usate, sta proprio nella forma scelta, delle consultazioni formali. «Un passo istituzionale grave quanto grave è la situazione». Di più non si può fare.
L’iniziativa di Napolitano viene subito appoggiata da Renato Schifani. «Quello che ha fatto il capo dello Stato - dice- è importante, perché ha invitato tutti a tenere un atteggiamento più consono a una democrazia. Il confronto si basa sulle idee, non sulle accuse. Mi auguro fortemente che l’appello del capo dello Stato venga opportunamente recepito dai partiti».
Andrà così? Gli daranno retta? Dopo tanti messaggi in bottiglia dispersi in mare, al Quirinale non si fanno illusioni. «Più che sperare non si può», anche alla luce dei colloqui di questi due giorni, caratterizzati in generale da poca autocritica e da molta voglia di dare la colpa agli altri.

Premesse che non lasciano molto spazio all’ottimismo: la miccia è pronta a riaccendersi, quando i provvedimenti sulla giustizia torneranno in aula. Che succederà, che farà Napolitano se il Parlamento diventerà «inagibile»?

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