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La capitale di (quasi) tutti i diritti

(...) C’è il diritto di Manu Chao a farsi il suo concerto e quello del magistrato milanese Gherardo Colombo a tenere a Palazzo Tursi la prima «lectio magistralis» che la Sala rossa ricordi. E soprattutto c’è il diritto ad attaccare a testa bassa il governo che vuole prendere le impronte dei piccoli rom. Perché loro, i piccoli rom, hanno diritto di continuare e imparare come si ruba andando in vacanza nelle case della Liguria.
Purtroppo le iniziative sono tante e qualcosa deve pur scappare all’attenzione della signora sindaca. C’è da aver pazienza, insomma, se si dimentica il diritto di chi ha una casa a non vedersela svaligiare, il diritto di chi ha un anello o un orologio regalato da una persona cara a continuare ad avere un ricordo. E bisogna avere pazienza se la signora sindaca si dimentica il diritto di ogni bimbo italiano a non essere schedato, appena nato, con un codice fiscale. O il diritto di ogni cittadino a non vedersi scrivere, sulla carta d’identità, i propri «segni particolari». O il diritto di ogni persona, maggiorenne o minorenne che sia, a non dare i propri dati (men che meno i documenti) a un poliziotto o anche solo a un controllore dell’autobus.


E allora perché la «capitale dei diritti» non spegne le sue telecamere per non violare il diritto a passeggiare nella massima privacy nei vicoli di notte? Mica per altro, c’è sempre il rischio che la telecamera inquadri un delinquente (italiano, straniero o rom che sia) mentre compie un reato. Anche lui ha il diritto ad agire indisturbato nella «capitale dei diritti».

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