Economia

Capitalia: bene i conti e gli olandesi restano

«No comment» sulle ipotesi di aggregazione. Le «lodi» a Mps

Marcello Zacché

da Milano

Gli olandesi di Abn Amro resteranno nel patto di sindacato di Capitalia, primo socio con il 7,7% del capitale. Lo ha detto ieri Matteo Arpe, amministratore delegato di Capitalia, chiarendo che si tratta delle «indicazioni che ho. La decisione arriverà martedì, dopo il loro cda».
Per Capitalia si tratta di un’iniezione di stabilità importante dal momento che l’uscita di Abn avrebbe aperto uno squarcio nella compagine azionaria del gruppo capitolino proprio nel momento in cui il sistema bancario italiano è al centro di un movimento di aggregazioni senza precedenti. Così, invece, Capitalia potrà guardarsi ancora intorno. Almeno fino a quando i giochi resteranno aperti.
Nel frattempo Arpe presenta al mercato un gruppo con i conti in salute e numeri in crescita. La semestrale, illustrata ieri agli analisti, ha chiuso con un utile netto in rialzo del 27% a 563 milioni, in linea con le previsioni. Ma Arpe ha dichiarato di aver raggiunto molti obiettivi reddituali del piano industriale «con 18 mesi d’anticipo» e per questo sono stati rialzati alcuni target. L’utile per azione annualizzato a 0,43 euro è risultato maggiore dell’obiettivo 2006, mentre il gruppo ha già raggiunto il 16% di obiettivo di Roe (rendimento sul capitale) atteso per il 2007. Per questo sono stati rivisti al rialzo i target 2007 del Roe, portato a 18%, e di utile per azione, che sale a 0,55 euro da 0,51. I ricavi totali del semestre salgono del 7% a 2,69 miliardi, mentre il rapporto costi-ricavi è migliorato a 59% da 61%. Il margine di interesse nel periodo è salito del 10% a 1,39 miliardi. In Borsa il titolo ha guadagnato lo 0,8% chiudendo a quota 6,3 euro. Senza cioè subire il contraccolpo speculativo che poteva derivare dalla decisione di Abn Amro di restare nel capitale.
In ogni caso, sul fronte del risiko, Arpe ha detto che per Capitalia «non cambia il quadro competitivo e strategico». Né per effetto della fusione Intesa-Sanpaolo, né per l’ansia crescente di un problema dimensionale. Il sostegno dei soci di Abn Amro sarebbe lì a dimostrarlo: «Abn non ha con noi una partnership industriale, ma supporta la nostra strategia di indipendenza e crescita». Di più, però, Arpe non dice: «Non commenterò mai nessuna ipotesi di fusione, nell’interesse dei miei azionisti». Anche perché «il caso Intesa-Sanpaolo lo dimostra: il silenzio è il miglior amico di queste operazioni». Mentre la stabilità del patto e la salute dei conti mostrata ieri rappresentano un’assicurazione contro eventuali take over da parte di banche estere, che Arpe considera «inverosimili». Unico e irrituale riferimento a un’altra banca è stato fatto rispetto a Mps, e al suo localismo, «enorme valore per quell’azienda, ed è un errore criticarlo».
Arpe ha poi minimizzato il problema della quota del 2% detenuta in Intesa, comprata a scopo difensivo. Ora che nasce San-Intesa la quota verrà ceduta. «Per il momento la teniamo, ma non è strategica. Quando tutto sarà completato venderemo». Smentita, poi, la voce che Intesa avrebbe offerto 8 euro per azione a Capitalia: «Non ho mai ricevuto una proposta da 8 euro da chicchessia». Un’offerta non è mai giunta «né a me, né a componenti del cda né a componenti del vertice, né ad alcun advisor esterno né verbale né scritta né in alcuna altra forma». Confermata, infine, la visione critica, condivisa con Unicredito, rispetto ai nuovi vertici Abi.

«Ma se con Profumo condividiamo molti temi - ha detto Arpe - restiamo concorrenti molto agguerriti».

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