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Il capitano Lussu e la rivolta della Sardegna contro l'Italia fascista

Nel 1940 l'esule italiano propose a Churchill di appoggiare un'insurrezione guidata dai reduci della Brigata Sassari. Londra pensava di usare l'isola come portaerei terrestre per colpire le città tirreniche

Il capitano Lussu e la rivolta della Sardegna contro l'Italia fascista

Da un documento conservato nei National Archives (HS/9/621/7) apprendiamo che, alla fine del 1940, Emilio Lussu (uno dei principali esponenti dell’antifascismo emigrato) entrava in contatto a Lisbona con un agente inglese, comunicandogli di «essere certo che un’organizzazione partigiana in Sardegna avrebbe creato una vasta azione insurrezionale contro il governo di Roma».

La massa di manovra su cui contava Lussu doveva essere costituita dai quadri del Partito Sardo d’Azione, di cui era stato fondatore, «composti da ufficiali e sottoufficiali con una non comune esperienza militare formatasi alla Brigata Sassari che avevano servito ai suoi ordini durante la Grande guerra». Quei reduci, già impiegati durante il conflitto civile che, tra 1919 e 1922, avevano opposto i clan fascisti e antifascisti nell’isola, dovevano operare esclusivamente contro i reparti tedeschi, acquistandosi «il favore dell’esercito italiano che era prevalentemente formato da sardi». L’aspirazione autonomista, continuava Lussu, era diventata generale e in essa poteva riconoscersi l’intero antifascismo isolano. L’azione decisiva, con il concentramento di tutte le bande di guerriglia, sarebbe dovuta avvenire in occasione di una spedizione alleata, alla quale avrebbe fatto seguito «la presa del potere politico e la formazione di un governo provvisorio che avrebbe parlato a tutta l’Italia per spingerla a rovesciare il fascismo».

Tra settembre e ottobre del ’41, Lussu raggiungeva Gibilterra e Malta, dove si abboccava con i responsabili dello Special Operations Executive, che dal luglio del ’40 era stato posto sotto il diretto comando di Churchill per organizzare, in tutti i territori controllati dall’Asse «operazioni di sabotaggio, propaganda sovversiva, scioperi, insurrezioni, a supporto della resistenza civile».
La risposta alle offerte di Lussu era però tiepida. La freddezza del Soe era spiegabile sulla base di alcuni precisi fattori. In primo luogo, la «poca affidabilità politica di Lussu» e il timore che tra le sue bande si potessero infiltrare elementi del brigantaggio, che l’esponente antifascista definiva «banditismo d’onore». Poi, i reputati fallimenti collezionati dall’Inghilterra nel reclutare una «Legione Italiana» tra gli emigrati residenti negli Stati Uniti e tra i prigionieri detenuti in India. Infine, le condizioni alle quali Lussu subordinava il suo impegno e cioè l’assicurazione che, alla fine del conflitto, l’Italia potesse conservare le sue colonie e i confini stabiliti nel ’19. Inoltre, le trattative erano state negativamente influenzate dal rifiuto di Lussu di entrare a far parte del Soe, motivato dalla convinzione che «nessun esponente dell’antifascismo italiano avrebbe potuto accettare di divenire un agente inglese, mettendosi in questo modo al servizio di una potenza straniera».

La situazione mutava a fine gennaio ’42, quando Lussu raggiungeva Londra, sotto lo pseudonimo di Meyer Grienspan, preceduto da un’informativa che lo qualificava come «una personalità di massimo prestigio destinato a intrattenere proficuamente rapporti con i nostri ministri e le più altre gerarchie militari». Durante i colloqui, avvenuti tra febbraio e giugno, Lussu ammorbidiva la sua posizione, rinunciando alla speranza di mantenere sotto sovranità italiana il Dodecanneso e la Cirenaica. La sua richiesta si limitava, ora, a domandare che le risoluzioni di Londra su questa materia restassero segrete «per evitare la contrapposizione col Regio Esercito del quale vorrebbe garantirsi l’appoggio o quanto meno la certezza che esso non spari sui civili al momento della rivolta». Da quel momento Lussu prometteva di cooperare strettamente col Soe non solo in Sardegna, ma anche «nell’Italia centrale e meridionale», purché venisse fornita al suo partito «l’assicurazione politica di potersi diffondere su tutto il territorio nazionale».

Benché il Soe nutrisse la più ampia fiducia nel successo del colpo di mano orchestrato da Lussu, battezzato Operation Postbox, le trattative non arrivarono a nessuna conclusione e l’ardimentoso capitano della Brigata Sassari lasciava Londra con la magra promessa che il gabinetto britannico avrebbe continuato a prendere in considerazione il programma di un’invasione della Sardegna. Nella riunione del War Cabinet del 20 novembre ’42 Churchill considerava, infatti, come obiettivo indispensabile l’occupazione dell’isola, non però per costituirvi un santuario antifascista, ma per farne una grande portaerei terrestre dalla quale scatenare la strategia del moral bombing contro le città italiane del versante tirrenico, compresa Roma. Dimostrandosi del tutto scettico sulla possibilità di veder nascere una rivolta contro il regime di Mussolini, l’inquilino di Downing Street era persuaso che solo l’arma del terrore avrebbe potuto costringere l’Italia alla resa, colpendo il suo popolo il quale «se avesse continuato a percorrere la via del Fascismo avrebbe dovuto sopportare tutte le punizioni e le calamità che si riservano ai vinti».

Eppure il programma di Lussu, relativo alla possibilità di scatenare una rivoluzione nel Supramonte, continuava a interessare il Regno Unito, a condizione di poterla trasformare da sollevazione autonomista in rivolta separatista, in modo da fare della Sardegna una nuova gemma dell’Impero Britannico. Non casualmente il Foreign Office aveva elaborato nel ’42 un approfondito studio su questa ipotesi, incentrato sull’«attitude of Sardinia towards Italian rule». Né solo accidentalmente la prima bozza del Trattato di pace con l’Italia, formulata da Anthony Eden, il 5 luglio ’45, insisteva sulla necessità di sottoporre Pantelleria, Lampedusa, Linosa al mandato delle Potenze vincitrici, in attesa forse di incorporare la Sicilia e l’«Isola dei Sardi» nei domini del Commonwealth.


eugeniodirienzo@tiscali.it

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