Manila Alfano
Il primo ad abbandonare la nave in fiamme è stato il comandante, Sayyed Omar. Quando ha capito che quel grosso traghetto costruito negli anni '70 non ce l'avrebbe fatta, non ha avuto dubbi: si è accaparrato una scialuppa di salvataggio ed è fuggito. Sayyed conosceva la sua nave e sapeva che per quel modello sarebbe bastata una piccola infiltrazione d'acqua per renderla incontrollabile e farla colare a picco come un sasso. Probabilmente sapeva anche che i mezzi di salvataggio non bastavano per tutti. Ormai per il traghetto «Al Salam Boccaccio» non c'era più niente da fare e i suoi oltre 1200 passeggeri erano nel panico completo. I più veloci riescono a recuperare un salvagente e a tuffarsi in mare. Gli altri guardano con orrore la nave che si inclina sempre di più su un lato. La tragedia si consuma veloce. Un paio d'ore dopo la partenza il rogo: non è chiaro se sia partito dalla sala macchine o da un camion parcheggiato nel ponte inferiore.
La costa saudita è ancora in vista; l'equipaggio ordina ai passeggeri di trasferirsi dalle cabine al ponte più in alto, cercando invano di domare le fiamme mentre la nave continuava a proseguire il viaggio pur imbarcando acqua. I sopravvissuti accusano: «Ci dicevano che non cera pericolo, non prendere i giubbotti di salvataggio». Forse il comandante cerca di invertire la rotta, ma sono solo ipotesi. «Poi quando le cose si sono messe davvero male l'equipaggio se ne è andato sulle scialuppe e ci ha lasciati a bordo», racconta ancora sotto choc Nader Galal Abdel Shafi, un superstite. Le testimonianze sono agghiaccianti. Abdel Raouf, un altro scampato spiega: «L'equipaggio ha fermato le persone che si stavano mettendo i giubbotti di salvataggio per non causare panico. Il personale di bordo intanto pensava di aver domato le fiamme che però sono riprese». Dieci minuti dopo l«Al Salam» si era già inabissata. I soccorritori finora hanno recuperato 400 superstiti e almeno 195 cadaveri, ma oltre 800 persone sono ancora disperse. Anche se i soccorritori assicurano che faranno tutto il possibile, le speranze di trovarle ancora vive diminuiscono di ora in ora. Quasi 140 sopravvissuti sono stati portati a Hurghada, in Egitto, poco prima dell'alba. I più fortunati sono scesi da soli dalla passerella da una delle navi di salvataggio, bagnati e tremanti, avvolti nelle coperte, gli altri erano sulle barelle. Le due navi della nostra Marina militare che partecipano alle operazioni di salvataggio venerdì sera hanno recuperato sette persone vive e un cadavere.
Responsabili della compagnia marittima dicono di non avere ancora abbastanza elementi per determinare le cause dell'incidente. Sostengono che a bordo c'erano mezzi di salvataggio per 3mila persone e che il traghetto era in regola con le norme internazionali. Le versioni dei sopravvissuti sono invece opposte: «Ci hanno lasciato in acqua 24 ore. Era come essere sul Titanic a fuoco», ha urlato Nabil Zikry che si è salvato trovando posto su una scialuppa. Ahmed Elew, un egiziano di 20 anni ha raccontato di aver segnalato l'incendio all'equipaggio e che gli è stato chiesto di aiutare ad estinguerlo con gli idranti. Quando il traghetto è iniziato ad affondare il ragazzo è saltato in acqua e ha nuotato per ore. «Ho visto una scialuppa piena di gente, troppo piena, che alla fine si è capovolta in acqua. Intorno a me la gente moriva e annegava».
A Safaga, dove la nave sarebbe dovuta ammarare, la polizia ha lanciato gas lacrimogeni contro i parenti delle vittime, infuriati. Per loro non c'è nessuna certezza. Il numero di sopravvissuti si contraddice di ora in ora: la televisione ha parlato di 350 superstiti, la polizia egiziana dice che sarebbero 435 le persone salvate finora.
Intanto il presidente Mubarak, che ha già fatto visita ai naufraghi, sa che deve agire in fretta. Ha già ordinato un'inchiesta e ha promesso 30.000 lire egiziane (circa 4.000 euro) per le famiglie delle vittime e 15.000 per ciascuno dei sopravvissuti.
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