Il capo ideale? Tony Soprano

Gestire un’azienda nell’era del marketing globale non è certo impresa facile. Infatti si moltiplicano i manuali per gli amministratori. Spiegano come motivare il personale, come ottenere il massimo nelle negoziazioni, come gestire le crisi, e così via. È dunque con una certa dose di ironia che Anthony Schneider, un consulente scaltro e di successo in gestione aziendale, ha dato alle stampe un vademecum ben accolto negli Stati Uniti e ora tradotto in Italia dalle edizioni Cavallo di ferro. La gestione secondo la mafia (236 pagine, 15 euro) parte da un presupposto semplice e spiazzante: il modello quasi perfetto di manager contemporaneo è Tony Soprano, il carismatico protagonista della serie tv I Soprano. Insomma, un mafioso. Escludendo il pestaggio e l’eliminazione fisica dei concorrenti, le sue strategie e le sue tattiche sono perfettamente adeguate a una corretta gestione del mondo degli affari. Il boss è un modello (inconsapevole) per la nuova generazione di dirigenti. È forte, coraggioso, sa farsi ubbidire. Non crede nella democrazia né nel consenso, ma solo nell’autorità. Esalta la struttura gerarchica. Pretende i risultati. Fa fuori chi non li ottiene.
Anche chi non ha familiarità con la serie televisiva può afferrare questi concetti. Il boss è intuitivo. Le riunioni fanno perdere tempo. Nessuno si azzarda a tradirlo. Agisce con rapidità. Decide in fretta. Per lui «Una decisione sbagliata è meglio di nessuna decisione». Tony conosce la «famiglia» e la sa spingere a pensare in termini di tendenze di mercato e di visioni d’insieme. Non può tollerare le «entrate zero». Secondo Schneider «una buona capacità decisionale combina estro e scienza, informazioni ed esecuzione pratica. Per prendere una buona decisione e farlo in fretta, un leader dev’essere un buon ascoltatore e un bravo comunicatore. Per metterle in pratica efficacemente, deve agire con rapidità e saper delegare come si conviene». Ovvio, in teoria. Ma in pratica, ad agire così riesce meglio la Mafia che non la Grande Impresa e tanto meno la Grande Impresa di Stato. L’autore in realtà non si spinge a tanto, e qui sta il limite del suo lavoro, che soffre di una certa ripetitiva vacuità. Perché non andare fino in fondo e dirla tutta? Perché limitare il paragone a un personaggio della finzione tv? La realtà, triste finché si vuole, ma intuibile anche dalle pagine di questo manuale, è che lavora meglio e con più soddisfacenti risultati solo chi riesce a liberarsi dalla burocrazia d’impresa. Là dove nessuno si prende responsabilità, dove le informazioni sono stantie, dove si chiacchiera a vuoto, dove non si motivano né si redarguiscono i dipendenti, le attività languono.

Dove invece la struttura piramidale funziona come un orologio svizzero, si portano a casa i risultati. È una conclusione politicamente scorretta. Rasenta il cinismo. Eppure si adatta come un guanto, ahinoi, ai nostri giorni e alla nostra organizzazione del lavoro.
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