È un capolavoro dell’intrattenimento da godere sul divano

Siamo convinti che l’incipt più bello della narrativa italiana del ’900 sia quello dell’autobiografia di Gigi Rizzi, uno che non a caso è passato da un reality: «Avevo vent’anni e Brigitte Bardot». O qualcosa del genere. «Vorrei avere vent’anni e essere nella casa del Grande Fratello» è, più o meno, l’incipt dei pensieri di chi, ogni lunedì sera, da dieci GF a questa parte, si prepara a seguire lo show. Desiderio comprensibile.
Sostenere che il GF sia un programma divertente, e a suo modo interessante, è un’impresa che il conformismo culturale e il moralmente corretto giudicano provocatorio o stupido. Chi ci prova nel migliore dei casi è accusato di snobismo intellettuale, nel peggiore di aver sintonizzato l’encefalo sulla stessa frequenza dei concorrenti. Piatta.
Eppure, fatta la doverosa distinzione tra programmi di informazione e programmi di intrattenimento, non sembra scandaloso difendere l’idea - per inciso, la stessa di altri 6.216.000 spettatori, in media - che il GF sia quanto di più divertente, comico, grottesco, surreale, disarmante, patetico, commovente offra oggi la tv. Uno può scegliere di andarsene al cinema o leggere un libro o giocare a squash, ed è la scelta migliore. Ma può anche decidere di guardare la tv. In questo caso, per chi quella sera decida di «informarsi», il ventaglio delle possibilità, per quanto non ampio, può andare da uno speciale su Craxi a Chi l’ha visto? Ma per chi decide di essere «intrattenuto» sul proprio divano per un’ora o due, è difficile trovare qualcosa capace di «emozionare» quanto il GF. Dove per «emozionare» s’intende: ridere di una situazione, vergognarsi per un comportamento, essere spiazzati da una reazione, provare imbarazzo, simpatia, fascino o fastidio per un personaggio, seguire insomma, in un’altalena fra il trash e il sublime, i percorsi emotivi preparati dagli autori e portati a compimento (o smentiti) dagli abitanti della Casa. In termini di «struttura narrativa» il Grande Fratello è un capolavoro. C’è follia, gelosia, invidia, sesso, tutto l’epos contenibile in un tinello più cucina. Inenarrabili slanci etici e inqualificabili cadute estetiche. La Casa è l’unico non-luogo dell’Occidente in cui è possibile assistere, compattata in una settimana, all’intera parabola sentimentale che va dall’innamoramento passionale all’odio insopportabile per percorrere la quale un marito e moglie qualsiasi impiegano dai 30 ai 40 anni. Sinceramente, sul piano dell’entertainment non c’è gara.
Veronica disperata che se ne va sbattendo la porta perché Daniele, dopo essere stato lasciato, le dice “Ma vai a fare i film porno”, e piangente sul letto viene consolata da Sarah, l’amante lesbo-chic che, per inciso, prima di entrare nel GF faceva la playmate, beh, è un virtuosismo narrativo di rara finezza, nella sua volgarità. E, improgrammabile da qualsiasi script, un momento unico nella sua «verità».

Del resto, George confuso tra la sua Carmela e la sua famiglia - reality per fiction - è molto più credibile, ci sembra, di Beppe Fiorello travolto dagli scandali della Banca Romana e diviso tra allettanti glorie da prima pagina e improbabili deontologie professionali. Meglio lo show della soap.

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