da Milano
A 77 anni Renzo Capra, presidente di Asm Brescia, si è deciso ad accettare una fusione con i milanesi dellAem di cui discute da anni, ma che non lo ha mai entusiasmato granché. Anche perché il suo lavoro gli piace: il classico manager che si identifica con la sua azienda. Più che presidente dellAsm, Capra «è» lAsm. Quando tre anni fa si stava parlando del rinnovo dei vertici dellAutorità per lenergia, qualcuno, malignamente, aveva messo in giro la storiella (falsa al 99,9% ma che dipinge bene il personaggio) che avesse ricevuto lofferta di diventare commissario (durata dellincarico sette anni) e avesse risposto: «Già, e io che cosa faccio dopo»? Ottimo motivo per rimanere a Brescia.
Classe 29, nato a Ponte dellOlio nel Piacentino, a Brescia è arrivato perché era stufo di lavorare in Sicilia, a Gela, per lEni. Dicono che sia stato uno degli ultimi a vedere Enrico Mattei, nel 62, la sera prima che il suo aereo precipitasse. In precedenza, sempre con lEni, aveva lavorato a Ravenna doveva aveva trovato moglie, Mirella. Poi nel 65 gli era arrivata lofferta di venire a lavorare a Brescia, allAzienda Servizi Municipalizzati, la società che sarebbe poi diventata lattuale Asm. Aveva accettato lincarico di responsabile delle centrali, con uno stipendio che era la metà di quello che prendeva allEni. Nel 79 era diventato direttore generale, undici anni fa, nel 95, è stato nominato presidente.
Tre figli: il primo studiava nelle scuole pubbliche e faceva le occupazioni, mentre il padre era nel consiglio di istituto. Per prudenza la seconda è stata spedita a fare il liceo dalle Orsoline, la terza ha percorso tutto il curriculum scolastico in scuole private. Adesso tutti e tre si sono fatti la loro strada. E intanto Renzo Capra si radicava sempre più in una città che evidentemente non gli dispiaceva: al punto che questanno lAteneo e la Fondazione Civiltà bresciana il giorno di San Faustino, patrono della città, gli hanno conferito il Premio alla brescianità, che di solito viene riservato a «bresciani doc», anche come natali.
San Faustino o no, bresciano doc o no, Capra ha però mantenuto le sue radici piacentine in quel di Val Nure, dove coltiva ancora i vigneti della cascina di famiglia in cui dicono che passi non solo le vacanze, ma anche tutti i week end. Non una gran produzione: mille bottiglie di Bonarda allanno, curate personalmente, così come il lavoro nei vigneti. Dicono pure che il vino riesca bene, accanto alla Bonarda produce anche del bianco. Oltre alla passione per le viti, Capra ha due hobby: la musica e la storia. Ma sono hobby. Poi, finito il week end, torna a Brescia, allAsm.
In questi anni un po di interviste le ha date. Ha sempre affermato: «Mi piacerebbe fare la fusione con Aem, ma è difficile, è complicato». Unaltra volta ha accusato i politici di aver affossato laccordo, quasi con parole di fuoco. Insomma, diceva: «Mi piacerebbe, ma non si può». Però anche i sassi sapevano che lui e il suo omologo milanese, Giuliano Zuccoli, giocavano una partita al gatto e al topo e che il topo bresciano non aveva nessuna intenzione di farsi mangiare dal gatto milanese. Ai convegni i giornalisti cercavano di strappargli una dichiarazione, di fargli dire dove voleva davvero andare. Un sorriso largo così sotto due occhi furbissimi: e neanche i giornalisti hanno mai avuto un gran successo.
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