Herbert Hoover è il presidente più sottovalutato della storia americana. Il capro espiatorio perfetto. L'esempio di come gli eventi modificano la percezione di un governo anche al di là degli effettivi meriti o demeriti dei protagonisti. Perché a Hoover fu ingiustamente attribuita la colpa per il crac del 1929 che generò la Grande Depressione americana prima e mondiale poi. La crisi di Wall Street aveva ragioni che non c'entravano nulla con le politiche dell'amministrazione di Washington. Però serviva una faccia da appiccicare a un fallimento e fu scelta quella di questo presidente repubblicano, vittima di una campagna di disinformazione degna dei giorni nostri: i giornali, già all'epoca un po' influenzati dalla leadership democratica nemica di Hoover, attribuirono a lui le responsabilità del crac. Un Paese in preda alla disperazione non aveva bisogno che di questo: un nome e un volto da contestare. Così fu e così è, purtroppo, rimasto per troppo tempo.
La riabilitazione per quest'ingiusto patrimonio negativo è arrivata tardi, quando ormai il giudizio nei confronti della sua amministrazione era entrato nella vulgata politica e mediatica. Così, oggi, in America, Hoover è considerato un cattivo presidente e un pessimo amministratore.
La realtà era ben diversa: Hoover era entrato in carica a marzo del 1929, come poteva essere responsabile di un disastro che scoppiò formalmente a ottobre di quell'anno, ma che evidentemente covava da tempo? Ad acuire la gravità della situazione fu piuttosto il Congresso che, nelle settimane successive al crollo di Wall Street, fece una serie di mosse sconsiderate. Ma il Congresso non aveva una faccia. Il presidente sì. È il destino dei politici, certo. Che con Hoover è stato particolarmente cinico: ancora oggi, nonostante la storiografia (persino quella liberal) abbia definito ingenerose ed eccessive le critiche a Hoover, spesso i candidati alle presidenziali democratici si divertono a sfottere i repubblicani dicendo loro di essere gli eredi del presidente della Grande Depressione.
Prima di arrivare alla Casa Bianca, Hoover aveva avuto diversi incarichi pubblici, tutti svolti con il massimo profitto. Era nato in Iowa nel 1874, proveniva da una famiglia di quaccheri (fu il primo presidente ad appartenere a questa particolare confessione cristiana, il secondo sarà Richard Nixon), suo padre era un artigiano: faceva il fabbro con un discreto profitto. I genitori, però, morirono presto e il giovane Herbert fu allevato dallo zio, in Oregon. Studiò nel più importante ateneo della costa Ovest, la Stanford University. Si laureò in ingegneria mineraria nel 1891. Non una specializzazione tipica per uno che poi sarebbe diventato presidente: i politici, e soprattutto coloro che avrebbero poi maturato ambizioni presidenziali, erano soliti studiare materie umanistiche o - soprattutto - legge. Lui scelse ingegneria, il che gli consentì di cominciare a lavorare immediatamente dopo la laurea: fu assunto in una grande impresa di estrazione mineraria e fu spedito in Cina. Era lì nel giugno del 1900 quando scoppiò la «rivolta dei boxer», la sommossa popolare anti-colonialista nata contro l'invadenza degli stranieri negli affari e nella vita pubblica cinese.
Hoover partecipò alla difesa degli stranieri: coordinò la costruzione delle staccionate e delle barricate difensive delle zone «americane» di Tientsin. Sua moglie Lou Henry (si erano conosciuti all'università) era invece un'infermiera e guidava la squadra di soccorsi dell'ospedale da campo. La rivolta finì e negli Stati Uniti arrivarono gli echi del comportamento di questo ingegnere coraggioso che aveva difeso la sua gente e che contemporaneamente non si era risparmiato quando s'era trattato di salvare centinaia di bambini cinesi che rischiavano la vita.
Altro giro del destino nel 1914. Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, quando la Germania dichiarò guerra alla Francia, Hoover si trovava a Londra. Il Console Generale lo incaricò di coordinare il rimpatrio dei turisti Usa, e lui in sei settimane organizzò il ritorno a casa di 120mila connazionali. In una biografia recentemente pubblicata da La Stampa si legge che «il compito successivo fu di assicurare la provvista di cibo alla popolazione affamata del Belgio, che era stato occupato dall'esercito tedesco. Poi, all'entrata in guerra degli Stati Uniti, Hoover fu nominato dal presidente Wilson capo della Food Administration, l'agenzia governativa per le risorse alimentari: riuscì a tagliare i consumi all'estero continuando a far arrivare le provviste necessarie agli alleati, e nel contempo evitò il razionamento di cibo in patria. All'armistizio, Hoover guidò la spedizione di navi Usa con i generi alimentari per sfamare l'Europa distrutta dalla guerra.
Anche al ritorno in America ebbe altri incarichi strategici. Con il presidente Harding e poi con Coolidge fu ministro del Commercio. Fu quello il trampolino di lancio verso la candidatura alle presidenziali. Durante la campagna elettorale Hoover annunciò di voler tagliare le tasse, ma all'arrivo della crisi le sue promesse furono impossibili da mantenere. Il presidente ci provò in tutti i modi, checché ne abbia detto per troppo tempo la storiografia: chiese al Congresso la formazione di un ente per aiutare le imprese (Reconstruction Finance Corporation), aiuti aggiuntivi ai contadini, la riforma bancaria, un prestito agli Stati perché potessero nutrire i disoccupati in aumento, l'espansione di opere pubbliche e una drastica economia di governo. L'opposizione democratica in Congresso, oltre a sabotare il suo programma, riuscì a dipingere Hoover come un presidente senza cuore, crudele e insensibile.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.