Cara Sabina, sono pronto ad affrontare te e i tuoi fan

Il direttore del Giornale mi ha telefonato per chiedermi di raccontare la storia della vicenda politica fra me e mia figlia Sabina. Ormai siamo in ballo e dunque balliamo, pur sapendo qual è il prezzo da pagare al giornalismo attratto dall’odore del sangue. Questo articolo dunque sarà un po' articolo e un po' lettera a Sabina stessa. Cominciamo dunque proprio dal motivo per cui io ho deciso di affrontare pubblicamente la questione politica che separa me e Sabina. Il motivo è che la nostra famiglia è stata brutalmente spaccata dalla guerra civile che divide gli italiani: il nostro è un caso personale, ma allo stesso tempo generale. Inoltre la nostra famiglia, il nostro cognome, è quello più esposto perché sia io che Sabina (e con uno stile diverso Corrado) abbiamo scelto non solo di dire quel che pensiamo, ma di farlo in modo pubblico, conosciuti, riconosciuti e riconoscibili. Mia figlia, come «buffoon», reincarna e sfregia la parte politica che odia ­ non soltanto il berlusconismo ma anche mezza sinistra - e io faccio il mestiere di sempre: il giornalista che dice quel che pensa e che insegue la verità, con in più il compito gigantesco e terribile di ricostruire per il Parlamento della Repubblica la verità mancante della storia d’Italia. Questa situazione ci ha molto esposti e molto ci esporrà sulle piazze, sui giornali, sugli schermi, sui palcoscenici, su internet, ma con una differenza. La differenza è che la mia parte politica è spesso naïve, di sentimenti forti, leali e un po' ingenui. Quando mi incontra dice: «Che bravi i suoi figli, sono geniali. Certo, la pensano in tutt’altro modo da lei e da noi, ma noi li amiamo lo stesso, complimenti». Quando quelli dell’altra parte incontrano me (o mi scrivono le circa 6.000 lettere che ho ricevuto), mi dicono: «Mascalzone, farabutto, non ti vergogni con quei figli che hai? Ma poi, saranno davvero tuoi figli?». A Brescia, durante la campagna elettorale, di notte qualcuno vergò i muri con lo spray con un «Brigate Sabina e Corrado» e un'oscena stella a cinque punte.
Alcuni anni fa scrissi per il Giornale una «Lettera a chi ci odia» che ebbe una forte risonanza, perché l’odio come strumento politico è un’arma di distruzione di massa feroce e assassina, un’arma coltivata soltanto da una parte della sinistra in maniera incosciente perché fa intendere che la maggioranza degli italiani sia fatta di complici di delinquenti, di imbecilli e di opportunisti. So quel che dico: ho fatto parte anch'io finché mi ha retto lo stomaco della squadra che ha praticato la politica dell’odio e della delegittimazione con una raffinatezza prossima all'arte e di fronte alla quale la cosiddetta destra è inetta, inerme, incapace persino di capire come si fa, incapace persino di servirsi dell'inesistente potenza di fuoco politico delle televisioni di Berlusconi che a giudicare da Iene, Striscia, Zelig, Costanzo e tutto il resto, sono quanto di più antiberlusconiano ci possa essere, visto che inseguono, come è bene che facciano, ascolti e pubblicità. Penso che Sabina con il suo Viva Zapatero sia vissuta dal suo popolo come una leader politica. Ma è anche mia opinione che Sabina sia una persona onesta, oltre che baciata dalla fortuna in quanto ad intelligenza e bellezza. E che quindi valga la pena discutere con lei e sono pronto, se lei m'invita, a salire sul suo palcoscenico. Inoltre da tutto quel che sento e leggo mi sono fatto l’idea che lei, come il suo pubblico e due terzi dell’Italia, non conosca la storia d’Italia se non nella sua versione maoista all’amatriciana, cui anch’io per anni ho contribuito e che è una triste patacca.
Dopo aver visto Viva Zapatero ho deciso di rivolgermi direttamente a mia figlia così come lei già aveva fatto in due occasioni tirandomi in ballo. La prima fu quando, alla vigilia del Natale del 2003, pubblicò una sua lettera sul Corriere della Sera in cui scriveva così: «Mio padre è tutt’ora una persona allegra e spiritosa se lo incontri a cena e ce la fai a ridere sapendo con chi ha trascorso la giornata». Ero a New York, nevicava, il padre di mia moglie stava morendo e io non credevo ai miei occhi in mezzo al fango: ero dunque uno che trascorre la giornata nella macelleria della criminalità e che magari si lava le mani prima di venire a tavola «allegro e spiritoso» traendo in inganno l’incauto commensale. Quando ho protestato, Sabina mi ha risposto seccamente che era solo una battuta e di non rompere. In seguito però ha specificato meglio la categoria delle persone con cui «trascorro la giornata» e cioè: «loschissimi figuri, ignoranti, fascisti razzisti e maleintenzionati con una fedina penale lurida per ragioni che solo sul tuo giornale possono essere ricollegate a reati d’opinione».
Offeso? Tutt’altro, ho provato un senso di liberazione: questo si chiama dire quel che si pensa senza far finta di niente. E mi sono detto: è mio dovere discuterne. E poiché, cara Sabina, a me nel 1996 il governo dell’Ulivo per prima cosa mi ha sbattuto fuori dalla Rai senza che né te né i tuoi amici apriste bocca (mentre io ho sempre pubblicamente solidarizzato con te non perché sei mia figlia ma perché avevi ragione) a me non resta altro strumento per discutere in pubblico con te che un libro. Ma se mi vuoi portare in televisione con te, sono pronto. Sulle piazze, sono pronto. Spero che qualcuno mi faccia fare l'ospite per restituirmi il microfono che mi è stato tolto. Rivendico, e stavolta conto sulla tua solidarietà attiva, il mio ritorno in Rai con un mio programma di satira politica, ma nel frattempo scrivo pagine di carta, altro non posso. Più recentemente, in Viva Zapatero Sabina non mi ha di nuovo esposto al suo pubblico: nel suo bel film si sente la voce romanesca dell’onorevole Lainati della Commissione di Vigilanza Rai che mi chiama in causa dicendo che io ero d’accordo con lui. Questo, ho detto a Sabina, non è corretto perché se mi citi hai poi il dovere di sentirmi, visto che giri un documentario. Mi ha risposto che era improprio intervistare il papà, ma di fatto non improprio lasciare suo padre alla mercé dei fischi e degli insulti nelle sale cinematografiche. L'intenzione di documentare le intimidazioni subite passava dunque sulla mia pelle come un erpice.
Io sono tuttavia molto grato a Sabina per aver rotto la cortina del silenzio fra noi e che io non ho mai chiesto: so difendermi molto bene e attaccare ancora meglio con l’uso della semplice verità. Inoltre mi vanto, quando sbaglio, di correggermi e chiedere scusa. E a proposito di correzioni, mi correggo proprio davanti a Sabina. Antefatto: ho usato - in un articolo uscito su Panorama il 27 ottobre scorso - l’informazione contenuta nella lettera del nostro Salvo Mazzolini a questo giornale in cui aveva raccontato che per rispondere agli studenti tedeschi che dopo la trasmissione di Celentano gli chiedevano conto della misera posizione in classifica dell’Italia secondo l’agenzia Freedom House, aveva telefonato alla stessa Freedom House dopo averne ottenuto dal dottor Dicaro della Rai i numeri di telefono. Diceva poi Mazzolini di aver scoperto che gli arresti domiciliari del giornalista e senatore di Forza Italia Lino Jannuzzi erano la vera causa della imbarazzante posizione dell’Italia fra Ghana e Benin.
Ora si dà il caso che anche Sabina, nel suo film, avesse citato le valutazioni della Freedom House, commettendo però la grave trascuratezza di non fornire ai suoi spettatori, tra cui me, la fonte della notizia e l’anno cui si riferiva. E poiché il suo film è del 2005, lo spettatore è autorizzato a pensare che si tratti del rilevamento di quest'anno, mentre invece scoprirò ad articolo pubblicato che il dato è dell’anno precedente, il che costituisce un elemento di confusione e di incompleta informazione. Tuttavia Sabina ha dal suo punto di vista ragione. Freedom House ha fatto sapere che il punteggio negativo determinato dal caso Jannuzzi c’è stato, sì, ma che tuttavia la cattiva posizione dell’Italia dipende da valutazioni standard americane e dalle notizie ricavate, per l'Italia, dal quotidiano La Repubblica, unica fonte dichiarata, per giudicare lo stato della libertà e del conflitto di interessi come se il nostro Parlamento non avesse legiferato riempiendo il vuoto del precedente Parlamento del centrosinistra che insabbiò la sua stessa legge. Ho imparato anche che i severi scrutatori di Freedom House non sono mai venuti a vedere come stanno le cose da noi ma si regolano soltanto sulla base di quel che scrive Repubblica e delle leggi americane che considerano il sistema di potere, il «government» (governo, Parlamento, magistratura) come un blocco unico, senza conoscere le nostre leggi e il fatto che soltanto in Italia una delle tre reti di un servizio pubblico pagato dal «tax payer», appartenga per diritto eterno ad una sola parte politica, i successori del Pci, i quali ne fanno uso politico sia quando sono al governo che quando sono all’opposizione. Potrebbe essere un discreto caso di conflitto d'interessi e di disparità, ma non se ne vede traccia.
Comunque do atto a Sabina del fatto che l’agenzia americana ci classifica fra i meno progrediti Paesi del terzo mondo per motivi che prescindono dal caso Jannuzzi, come io avevo invece scritto. Ma, fatta ammenda, aggiungo che resta un mistero questa fede cieca sia di Sabina che degli autori di cui Celentano è un ventriloquo (con auricolari) in una agenzia americana che misura gli altri Paesi secondo mentalità e leggi americane. Come sarebbe? Le agenzie americane sono fonte di verità se dicono una cosa cretina come il fatto, falso, che in Italia non c’è libertà di informazione, ma diventano inattendibili se sostengono che Saddam aveva le armi di distruzione di massa che ha effettivamente prodotto e usato in due guerre e in un genocidio? È un punto - direbbe il D'Alema di Sabina - da approfondire, diciamo.

C’è poi un ultimo dato che Sabina e le sue fonti dovrebbero considerare: secondo Freedom House dal 2003, in pieno governo Berlusconi, l’Italia avrebbe raddoppiato il suo voto positivo in «civil liberties» passando da 2 ad 1 in una classifica in cui 1 è il massimo e 7 il minimo. Davvero eravamo schiavi sotto Prodi e D’Alema e liberi sotto Berlusconi? È una cosa seria? Ah, Sabina, quante cose abbiamo da dirci.
p.guzzanti@mclink.it

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