Carabinieri «interrogano» i morti e scoprono il colpevole

E poi si dice di «metterci su una lapide». Nel senso che non se ne parla più, che tutto resta sepolto, che non verrà mai più riaperto il caso. Ma anche la saggezza popolare fa cilecca e sempre più convinto sembra esserne un imprenditore del Basso Piemonte, messo nei guai proprio da qualche lapide troppo collaborazionista, al limite della delazione. Capita infatti che le rive dell’Erro, un torrente che scorre nella collina dell’Acquese garantendo acqua potabile e risorse per le tubature di diversi paesi, si trasformi all’improvviso in una specie di cimitero devastato. Lastre di marmo con foto, nomi e date di nascita e di morte di parecchi defunti, sparse ovunque. Tra i ciuffi d’erba e a un passo dal gorgoglio del rivo. Lapide spaccate, abbandonate. Nessun rito satanico, anche perché lì un cimitero non c’è mai stato. Piuttosto una discarica abusiva, quello sì, di rifiuti decisamente «speciali».
I carabinieri di Acqui Terme non hanno testimoni. Almeno testimoni vivi. Ma si sa che l’abilità di un investigatore sta anche nel far «cantare» i morti. E così proprio i defunti le cui lapidi sono state abbandonate hanno dato una mano decisiva. In particolare quella di una donna deceduta nel 1997 ha messo i militari sulla pista giusta, quella che portava al cimitero di Acqui. Una dopo l’altra, anche le altre lastre di marmo sono state riconosciute come quelle da poco rimosse dallo stesso camposanto.

Inevitabile andare a chiedere spiegazioni all’imprenditore incaricato dell’operazione. Era da poco arrivato in zona, rilevando un’attività già ben avviata. Ma uno dei suoi primi lavori gli ha procurato una denuncia per violazione delle norme sullo smaltimento dei rifiuti. Ci vorrebbe un condono tombale.

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