Caravaggio, è nata una rockstar

In 25mila alla "notte bianca" romana dedicata al maestro, due mostre da record, studi e scoperte continue. Un fenomeno mai visto prima di ora

Caravaggio, è nata una rockstar

di Andrea Dusio*

Bisognerebbe sentire il suo agente, per capire se ha una data libera per il Festival di Reading. O magari per un deejay set a Ibiza. Nella «Notte bianca» che Roma gli ha dedicato, Caravaggio ha messo insieme 25.000 persone, disseminate tra le chiese della capitale e la Galleria Borghese. Tutte lì a vedere i suoi capolavori. E che un pittore morto da quattrocento anni faccia i numeri di un big della console o di una rock star è una novità assoluta. A confermare l’impazzimento collettivo per Michelangelo Merisi c’è il boom del botteghino di Palazzo Pitti per la mostra «Caravaggio e caravaggeschi», che si va a sommare ai 600mila visitatori della rassegna delle Scuderie del Quirinale, un pellegrinaggio di massa che sarebbe entrato a perfezione nelle pagine di Fratelli d'Italia, come la mitica mostra mantovana di Mantegna che fece girare i tacchi a un Alberto Arbasino inorridito da quell’epocale carnaio. E intanto, manco si trattasse di Jim Morrison, una fiumana di fan adoranti rende omaggio a Porto Ercole alle presunte spoglie del pittore, le prime «ossa sue al 85%» di cui si abbia memoria, tecnoreliquie attorno alle quali ci si è affannati come in una puntata di CSI. Letizia Moratti, da parte sua, dopo aver tentato di dirottare le spoglie del pittore verso il famedio di Milano, propone di intitolare a Caravaggio l’aeroporto della Malpensa.
In attesa che le reliquie mettano a segno, da qui a fine agosto, quel miracolo che basterebbe ad aprire il processo di beatificazione - può bastare un bagnante dell'Argentario scampato da un attacco di medusa, naturalmente invocando il dipinto omonimo - a Caravaggio non si è risparmiata neanche la cerimonia di «reinvestitura» a Cavaliere di Malta, consumata in una fattoria maremanna, presumiamo con tanto di torneo dei butteri e grigliata finale, mentre, dall’altra parte, c’è chi sostiene che a ucciderlo, in una sorta di complotto di stato degno di una puntata della Notte della Repubblica, siano stati gli stessi Gerosolomitani, con l’aiuto dei Colonna, di Scipione Borghese, il tacito assenso di servizi segreti deviati e l’appoggio logistico della Cia. E nuovi Caravaggio spuntano ogni mattina, persino dalle pagine dell’Osservatore romano, e in un giro d'orologio tutti gli esperti dicono la loro in merito, anche se nessuno ha visto il dipinto - l’ennesima crosta derivativa - dal vivo.
Moriremo tutti caravaggisti? Nel dubbio, è il caso di chiedersi se davvero basta la biografia da sbandato, la sessualità incerta e l’allure dark dei dipinti a farne una rockstar. O se forse il fascino che esercita la sua figura non sia un altro sintomo dello sbandamento culturale dei nostri tempi. Se si aprono gruppi in suo nome su Facebook, se si moltiplicano le pubblicazioni e le opere audiovisive che lo riguardano, è probabilmente perché Caravaggio possiede quel minimo comun denominatore di genialità che è in grado di mettere d’accordo tutti. Gli unici a sottrarsi sono proprio gli storici dell’arte, che ricordano come pittori quali Velázquez o Rubens siano persino più grandi del Merisi, senza scomodare i big del Rinascimento. Ma non c’è niente da fare: Leonardo e Michelangelo sono dinosauri, Raffaello era già cotto dopo cent’anni, allorché proprio Velázquez poteva affermare di detestarlo. Caravaggio no, lui è un «forever young», come Rimbaud e Cobain, come James Dean e Francesca Woodman. Pazienza se amava dipingere persone anziane, se nella sua tavolozza degli ultimi anni c’è ben poco della sensualità della giovinezza, e domina invece un’atmosfera da camera mortuaria.
La verità è che Caravaggio piace perché riesce a eliminare dalla fruizione della pittura quel filtro intellettuale che si frappone tra l’opera e chi la osserva. Finalmente guardiamo uno che parla come noi, che non nasconde il significato dei suoi quadri dietro simbologie che non conosciamo, che non ci fa sentire come a scuola. Caravaggio è la morte delle audioguide, delle tavole sinottiche, delle opere studiate a casa sui bigini per non fare cattiva figura con gli amici una volta in mostra. Non fa distinzioni di censo o di titolo scolastico.
La pittura ha fondamentalmente a che fare con due intenzioni di massima: la rappresentazione dell’identità, in cui giganteggiano Tiziano, ancora una volta Velázquez, Bacon, e che ha a che fare con la posizione dell’uomo nel mondo e con la coscienza di sé. E, dall’altra parte, la rappresentazione della realtà, che è appunto il tentativo di togliere tutte le sovrastrutture che si frappongono tra lo sguardo dell’artista e la sua pennellata. Su questo fronte, Giotto, Masaccio e Caravaggio sono insuperati, e rappresentano il punto più alto di una maniera di sentire le cose che è radicalmente italiana, come dimostrano anche il verismo e il neorealismo: la nostra cultura da sempre tanto è più grande quanto più è anti-intellettuale.
Per un popolo che ha con la moralità un rapporto complicato, l’unica idea di etica possibile è un’etica dello sguardo. E anche la nostra favola nazionale ha curiosamente a che fare con il problema laico di raccontare la verità, non col fare il bene o il male.

Caravaggio ci piace dunque quanto Vasco Rossi (o Valentino Rossi, o San Francesco, o Rino Gattuso) perché, non dicendo quelle bugie che sono quasi consustanziali al linguaggio artificioso dell’arte antica, è un pittore in carne e ossa (no, non quelle ossa... ), mica di legno. O almeno così ci piace credere.

autore del libro «Caravaggio White Album» (Cooper)

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica