Guido Mattioni
Amore fa spesso rima con dolore. E quella che raccontiamo qui è proprio una storia così (ma forse è di più, perché forse è una poesia), scritta appunto capitolo dopo capitolo (o verso dopo verso?) con il dolore e con lamore. Una storia brutta, bruttissima, durata 11 interminabili anni. Ma poi finalmente bella, bellissima, nel suo sofferto e recentissimo epilogo.
Undici anni. Se li è fatti tutti, Giuseppe Lastella, barese, oggi quarantunenne. Se li è fatti tutti dietro le sbarre. Undici anni con la rabbia sorda di chi sa di essere innocente. Undici anni con la disperazione muta di chi si sente perseguitato - «Ma perchè proprio io?» - da un accanimento giudiziario in apparenza più crudele di un cancro, che a volte, almeno, «ha il cuore» di portarti via in un attimo.
Undici anni (pensiamoci, può capitare a tutti) sono 132 mesi, 3.960 giorni, più di 95mila ore e quasi 6 milioni di minuti. Frazioni di tempo che il povero Lastella ha contato una a una, nel caldo e nel freddo, nella luce e nel buio dei pochi metri quadrati di una cella. Ma anni, mesi, giorni, ore e minuti sofferti e combattuti con amore, senza mai un dubbio, anche da Elisabetta Neviera, la sua compagna. Fino a qualche giorno fa, allultima parola della Corte di cassazione: «Libero».
Lavvocato Gregorio De Palma, che insieme al collega Nino Marazzita ha seguito la causa e che ora si appresta a chiedere un forte risarcimento, conferma: «Se dopo 11 anni la storia è finita bene per Giuseppe, lo si deve soprattutto alla tenacia di Elisabetta. In tutti questi anni ha lottato per raccogliere le prove dellinnocenza del suo uomo, ascoltando le dichiarazioni dei testimoni, partecipando ai processi senza mai perdere la speranza».
La vicenda, in realtà, è ben più lunga di 11 anni. È infatti il 2 aprile 1990 quando da un lettino di ospedale il pregiudicato per droga Domenico Chironna, prima di morire, accusa il gruppo che lo ha ridotto in fin di vita, in un agguato sulla Salerno-Reggio Calabria, allo svincolo per Tarsia. Tra questi, rantola, cera il contitolare di un autosalone. È Giuseppe, per gli inquirenti. Che così finì nei guai, insieme ad altre due persone che lavoravano con lui nella concessionaria.
In primo grado, Lastella lanciò quella che sarebbe stata la sua ultima escalamazione di gioia fino a quella di qualche giorno fa. La Corte dassise di Cosenza lo mandò infatti assolto. Un sorriso spentosi poco tempo dopo, nel 94, sotto la mazzata sferratagli dalla Corte dassise dappello di Catanzaro: 30 anni di carcere. «Era appena stato introdotto il nuovo codice di procedura penale e si finì per dare più peso agli indizi che non alle prove», spiega ora lavvocato De Palma.
Di lì, iniziò una crudele via crucis costellata da mille «stazioni», nelle aule di tribunale e nelle carceri di tutta Italia, vista dal povero Giuseppe, ammanettato «turista carcerario», dagli spioncini dei cellulari. Dopo una serie di appelli e annullamenti di sentenze, senza mai perdere nè la speranza nella giustizia, nè tantomeno lamore di Elisabetta, la Cassazione rese definitiva la condanna a trentanni. Ma il 20 dicembre 2001 i suoi difensori, grazie a nuovi elementi di prova costituiti da inedite testimonianze, chiesero la revisione del processo alla Corte dassise dappello di Catanzaro. Domanda respinta ed ennesimo ricorso in Cassazione, dove la richiesta venne accolta con listruzione di un nuovo processo a Salerno. E il 16 novembre 2004 la sentenza: «Assolto».
Tutto finito? Tutto bene? No, perchè la Procura generale impugna la sentenza in Cassazione.
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