La carica degli stranieri: sono quasi 500mila

Marcello Viaggio

È la carica del Terzo Mondo. A Roma un bambino su sette ha origini non italiane. La Città Eterna rischia di diventare terra d’invasione senza fine. Specie dopo le dichiarazioni choc del ministro della Solidarietà Paolo Ferrero: megasanatoria per i clandestini in tutta Italia ed aumento delle quote d’immigrazione.
Gli stranieri a Roma e provincia sfiorano già oggi il tetto del mezzo milione. Circa 309mila gli immigrati con permesso di soggiorno, 340mila se aggiungiamo i minori. Sommando i clandestini, secondo un criterio di calcolo prudente solitamente accreditato a livello nazionale, nella proporzione di 1 su 3, le stime fanno salire il conto a quasi 500mila stranieri. Lo affermano i dati del Rapporto annuale dell’Osservatorio romano sulle migrazioni, illustrato alla Fiera di Roma venti giorni fa dall’ufficio studi della Camera di Commercio. Le cifre si riferiscono agli inizi del 2005. Secondo il Rapporto, il 38 per cento degli stranieri è europeo, il 30 per cento asiatico, il 16 per cento africano. Nella capitale l’etnia più numerosa, fra i regolari, è quella filippina (27.335 persone), seguita da romeni (24.996) e polacchi (10.876). Subito dopo Perù, Bangladesh, Egitto e Cina. Ben 195 le nazionalità differenti. Cresce il numero di quanti vivono nei comuni della provincia, ma cresce ancora di più quello di chi sceglie la capitale. A Roma un bambino su sette ha origini non italiane, in provincia uno su cinque.
Una crescita vertiginosa. Il sindaco Veltroni non perde occasione per compiacersi della dimensione multietnica assunta da Roma. Ma basta approfondire i dati dell’Osservatorio per coltivare serissimi motivi di apprensione. In base al censimento del 2001, Roma conta 2.547.000 abitanti. Considerando che il 20 per cento degli immigrati vive nell’hinterland, ma contando gli ulteriori arrivi degli ultimi quindici mesi, si può calcolare con buona approssimazione che la percentuale di stranieri a Roma è pari al 17-18 per cento della popolazione. Probabilmente la più elevata fra le capitali d’Europa. Con punte del 20 per cento nel I municipio e ancora maggiori all’Esquilino. A tanto si è arrivati in soli quattro-cinque anni. Nel 2001, infatti, gli immigrati a Roma e provincia erano appena 212mila, in leggera diminuzione rispetto al 2000. L’esplosione è iniziata subito dopo, con Veltroni.
Inutile negarlo. Negli ultimi cinque anni la capitale ha attirato fiumi di stranieri da ogni angolo del mondo. E le conseguenze sono visibili. Sotto il mercato di Porta Portese sorge una sterminata baraccopoli. In tutti i parchi, compresa Villa Borghese, spuntano tende e catapecchie. La vendita di cd e videogiochi pirata è in mano ai senegalesi. Gli ambulanti cinesi e maghrebini hanno fatto fuori la concorrenza romana, vendendo magliette a 2 euro, jeans a 10 euro. Almeno 20mila nigeriane, romene ed albanesi hanno il permesso di soggiorno come colf e badanti, ma praticano il mestiere più antico del mondo. L’esercito dei diseredati paga in minima parte le imposte. In compenso usa appieno i servizi della città. Cassonetti dell’immondizia stracolmi, metropolitane affollate. L’Atac dal canto suo rileva che i portoghesi sul bus sono soprattutto stranieri. In periferia esplodono le baraccopoli. La maggior parte degli irregolari vive di espedienti legati ai racket della malavita. Non lo afferma solo l’opposizione. Nell’ultima Conferenza annuale sulla sicurezza, febbraio 2006, il prefetto di Roma rilevava: «È notorio che la gran parte dei clandestini presenti a Roma vive col provento di attività illecite: spaccio di droga, prostituzione, furti».

E i controlli del Comune? Arriverà un giro di vite come a Bologna? Lasciamo stare. Veltroni che sgombera le baracche a Villa Troili a due settimane dal voto, dopo avere chiuso gli occhi per cinque anni, ha già fatto il massimo.

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