Gian Micalessin
da Beirut
Le chiamano le quattro grandi vedove. Non tutte lo sono veramente, ma tutte hanno nomi assai famosi e un uomo da ricordare. Si chiamano Nayad Moawad, Solange Gemayel, Mohira Hariri e Strida Geagea e sono fin da ora le sicure vincitrici di quattro seggi in quella maratona elettorale che da domenica si susseguirà per ben quattro settimane nelle diverse circoscrizioni libanesi.
Solange Gemayel sarà anche discussa e criticata e - come dicono da queste parti - non all'altezza del nome che porta, ma di certo il suo nome pesa ed è garanzia di vittoria nella capitale. Suo marito Bechir Gemayel era il carismatico leader della falange maronita. Venne eletto presidente all'indomani dell'invasione israeliana, ma nel settembre del 1982 una bomba con il timbro di Damasco lo fece a pezzi ancor prima dell'investitura ufficiale. Da allora nessun cristiano ha mai dimenticato il suo coraggio e il suo carisma e così lei, la vedova Solange, è oggi il candidato naturale per la conquista dei loro voti. Saad Hariri, figlio ed erede dell'ex primo ministro dilaniato da un'autobomba lo scorso 14 aprile, e l'ineffabile capo druso Walid Jumblatt non hanno esitato un attimo ad offrirle una poltrona importante.
Per farle posto altri due candidati cristiani hanno immediatamente scelto la strada del ritiro. Poco importa che Jumblatt e Gemayel fossero nemici, poco importa che in questi anni gran parte di quella Falange maronita ferocemente antisiriana ai tempi di Gemayel si sia trasformata in una docile pedina di Damasco. Di una donna in Libano conta soprattutto il nome. E il nome Gemayel fa di Solange una sicura vincitrice. Te lo spiega con brutale chiarezza la signora Nayla Moawad. «In questo Paese le donne possono entrare in politica solo dopo aver vestito i panni del lutto». Suo marito, il presidente libanese Renè Mohawad, si dissolse nella deflagrazione di 250 chili di esplosivo nel 1989. Ma, come ricorda con amarezza la signora Mohawad, la morte del marito fu una sorta di legittimazione per l'inizio di una vita pubblica che l'ha vista già due volte al Parlamento. «In un Paese - sottolinea - dove la politica è dominata dalle fazioni, dai clan e dalle grandi famiglie una donna può diventare rappresentante politico soltanto se eredita questa funzione dal marito e questa non è certo una fortuna».
Certo lei a differenza di Solange Gemayel ha qualcosa di più da offrire. Nel suo passato di vedova ci sono una fondazione, un lavoro tenace d'operatrice umanitaria e solidi legami con Washington, ma, comunque, quando si conteranno i voti a Tripoli e negli altri distretti del nord sarà il cognome Moawad ad aver fatto la differenza. L'unica a non dover nulla al ricordo di un uomo è Bahia Hariri l'attivissima sorella dell'assassinato Rafik, già deputato e presidente della commissione per l'Educazione. Nonostante la parentela non sia la stessa i libanesi l'hanno già inserita nel gruppetto «vedove» e lei non perde giorno senza ricordare il martire Rafik. Prigioniera del complesso gioco elettorale libanese deve però muoversi con cautela in una Sidone dove il voto degli sciiti resta importante anche per una musulmana sunnita. Così mentre corre nella lista dell'opposizione guidata dal nipote non dimentica la necessità di un dialogo con gli hezbollah, di un'integrazione degli sciiti e del mantenimento di rapporti con la Siria.
A scender a patti con il diavolo s'e decisa alla fine anche l'affascinante vedova «bianca» Strida Geagea. Lei i panni del lutto non li ha mai vestiti, ma ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita a lottare per la liberazione di un marito che i siriani volevano sepolto vivo per sempre.
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