Carla Fracci è l'icona della danza, praticamente una leggenda. Conosce il teatro fin dentro le sue viscere, essendoci cresciuta. Discorso che vale per uno in particolare, la Scala, il teatro della città dove è nata, «amo molto Milano, e vorrei tornare a lavorarci», confessa. Già, lavorare: la leva della carriera della Fracci. Che osserva, «il teatro vive solo se esiste il lavoro, lavoro, lavoro».
E quando si incrociano le braccia come hanno fatto i coristi della Scala annullando, così, il concerto di mercoledì? Si calcola che, per il non lavoro, il danno della serata andata a vuoto superi il centinaio di migliaia di euro, e questo mentre ovunque si reclama sobrietà, toni bassi, spirito di sacrificio. La ragione scatenante dello sciopero sta nella diaria della trasferta al Bolshoi di Mosca, week end scorso, a giudizio dei coristi insufficiente. La Fracci non entra nel merito, però dichiara che «il lavoro va rispettato e pagato. L'etica del teatro della musica e della parola vanno rispettati. Poi c'è il problema della coscienza individuale. E soprattutto, ci sono le corporazioni: ahimè!» chiude la Fracci che non vuole impelagarsi nei discorsi su caste, privilegi e capricci.
Va poi dritta al cuore dello spettacolo: il pubblico, «una grande risorsa. Sa cosa mi ha dato la più grande soddisfazione della mia collaborazione a Roma? Ricevere mucchi di lettere per ottenere biglietti a prezzi ridotti. Perché c'è un desiderio folle di sentire concerti, opere e vedere balletti, ma mancano sempre più i mezzi». Anche sulla scorta di ciò, è lecito scioperare sui due piedi? «Il pubblico è deluso dagli scioperi, alla fine fa un bilancio negativo del teatro. E io difendo il teatro».
La signora della danza ha rappresentato l'Italia, il 28 ottobre, alla serata inaugurale del Bolshoi restaurato, prendendosi anche un bell'abbraccio di Michail Gorbaciov. La Scala, sabato scorso, è stata la prima istituzione straniera a metter piede al teatro moscovita. «L'apertura di sipario del Bolshoi è stata emozionante, lì c'era tutta la massa corale, orchestrale ma anche operaia, era il condensato della morale del teatro che esiste, lo ribadisco, grazie alla famiglia di operai del teatro, e per operai intendo coloro che operano. Spesso ci dimentichiamo di quanti agiscono dietro le quinte, dalle sarte ai macchinisti».
Ma in generale, si opera a sufficienza nei teatri? «Si potrebbe di più e meglio. Bisognerebbe affidare responsabilità a chi lo merita, e non è sempre è così». Tra i sovrintendenti, chi apprezza la Fracci? «Mi piace Ernani, al Comunale di Bologna». E Milano? «Ormai non conosco esattamente l'ambiente, non posso parlarne».
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