Carlos, il terrorista visto da vicino senza farne un romanzo criminale

Arriva la miniserie, vincitrice di un Golden Globe, che racconta la scia di sangue e di paura lasciata dal feroce sicario dei palestinesi

Carlos, il terrorista visto da vicino senza farne un romanzo criminale

Muscoli e cervello, rabbia e fredda logica rivoluzionaria che si trasformano in un mix letale di donne sedotte e morti ammazzati. Orgoglio smisurato e retorica marxista-leninista si incarnano in un cinismo sconfinato, e seducono menti deboli da trascinare in una spirale di sangue. Non stiamo descrivendo un personaggio inventato da Frederick Forsyth ma un uomo in carne ed ossa, Ilich Ramírez Sánchez, che ha terrorizzato mezzo mondo con i suoi attentati. E se il suo nome non vi dice niente è perché molto probabilmente lo conoscete come Carlos lo «Sciacallo».

Carlos se lo scelse lui, come nome di battaglia, lo «Sciacallo» gli fu affibbiato dalla stampa quando tra i suoi oggetti personali la polizia ritrovò una copia de Il giorno dello Sciacallo, proprio di Forsyth. Pare che il libro non fosse davvero suo, ma certo sembrava essere la perfetta lettura per un maestro dell’agguato. E se da decenni Carlos è considerato il più «letterario» e «cinematografico» dei terroristi internazionali, sia per le fughe rocambolesche sia per il suo fascino sul gentil sesso, adesso la sua storia diventa davvero una miniserie tv che arriva sugli schermi italiani: andrà in onda su FX (canale 131 di Sky) a partire dal 21 aprile (per tre giovedì alle 21,55). Ad interpretare Ilich - a chiamarlo così era stato il padre avvocato marxista di Caracas in memoria di Lenin - Edgar Ramirez che, belloccio, ne nobilita l’aspetto ma non ne tradisce lo spirito, la cattiveria. E il bello delle tre puntate di Carlos, girate da Olivier Assayas per il francese Canal Plus, è proprio questo.

Spettacolari ed intense tanto da vincere un Golden Globe, e da essere state ben accolto a Cannes, non ammiccano mai al telespettatore. Mantengono un approccio quasi da docufiction, si consentono fantasie solo su quei tratti della vita di Carlos che sono oggettivamente oscuri, non rendono il personaggio simpatico, gli lasciano in bocca quei deliri politici sui capitalisti - «bisogna schiacciarli come merde» - e sull’internazionalismo che gli erano propri. Non si consentono nemmeno di ricamare sulle sue tante liaison. C’è invece la sensazione di assistere, in presa diretta, alla discesa inarrestabile in un mondo di follia. Giapponesi impazziti che l’11 settembre 1974 assaltano in nome dell’Armata Rossa l’ambasciata francese dell’Aia aiutati da Carlos, l’attacco del 13 gennaio 1975 a colpi di razzo ad un aereo israeliano della El Al con i terroristi che colpiscono di tutto tranne il velivolo, a partire dal 1979 i contatti con la Stasi e le Cellule rivoluzionarie tedesche con Carlos che ruba la donna al suo amico Johannes Weinrich (la terrorista Magdalena Cecilia Kopp)... E tutto è vero, da verbale di polizia corredato da spezzoni televisivi d’epoca, sino alla fuga in Sudan che fu la poco gloriosa fine di un criminale politico che, a furia di sposare qualsiasi causa gli apparisse rivoluzionaria, e foriera di fama, si era ormai trasformato in un mercenario ben poco gradito anche a quei movimenti islamici di cui era a lungo stato braccio armato. Un uomo bruciato che dopo l’arresto, avvenuto a Khartoum nel 1994, finisce all’ergastolo e da lì regala alla stampa rivelazioni scottanti su un sacco di cose (compreso il caso Moro e la strage di Bologna) che puzzano sempre di bugia.

Insomma, la miniserie non gioca a trasformare

l’estremista in eroe, non ti regala un cattivo reso simpatico o attraente. Niente effetto Romanzo Criminale o Vallanzasca-gli angeli del male dunque. Lo Sciacallo resta uno sciacallo per fortuna. E la serie non ne perde, anzi.

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