Non descrivo il fastidio che mi arreca il petulante, piagnucoloso, querulo Avvenire, che ancora riciccia la richiesta di scuse che Feltri dovrebbe porgere alla presunta «vittima di una ingiustizia profonda e crudele».
Boffo molestò sì o no?
Una sentenza dice di sì, ergo è Boffo che deve andare a Canossa, inginocchiarsi e chiedere scusa: alla Cei, all'Avvenire, a Santa vulnerata e offesa Romana Ecclesia, al direttore Feltri. Non mi interessano le piccinerie dell'Avvenire, tengo, invece, a rappresentare l'amarezza, la delusione e lo sdegno, causatimi dall'infelice esternazione del mio, già caro e stimato capogruppo vicario, Italo Bocchino.
In un'intervista alla Stampa, il collega Bocchino ha, di fatto, chiesto a Berlusconi di cacciare Vittorio Feltri, colpevole, nientepopodimeno, di non fare gli interessi del presidente del Consiglio.
Altri amici originari di An e dell'Msi ci tengono ad affermare, e fanno benissimo, che il Pdl non è una caserma, ma proprio per questo dovrebbero duramente stigmatizzare l'onorevole Bocchino, che, in un momento di stordimento da ferie purtroppo al tramonto, ha raffigurato tutti noi pidiellini come facenti parte di un'associazione di torvi autoritari e di iracondi intolleranti.
Dopo il molestatore Boffo, anche Bocchino dovrebbe riflettere, ragionare e cominciare a porgere scuse a spaglio.
In primo luogo, a Silvio Berlusconi, che non è solito, non dico cacciare i direttori delle sue testate - il quotidiano il Giornale, fra l'altro, neanche gli appartiene -, ma neppure pressarli, istigarli o aizzarli.
Bocchino non conosce il suo leader e già questo è grave. Silvio non li chiama nemmeno i giornalisti, né prima, né dopo i botti da Boffo desnudo, come ha anche testimoniato il compagno Mentana, sinistro sì, ma intellettualmente onesto.
Verso i direttori piange sempre il telefono di Silvio, sempre rispettoso della libertà di stampa, come potrebbero confermare lo stesso Feltri, Belpietro, Giordano, e quant'altri direttori, Fede compreso, ai quali il Cavaliere non s'è mai sognato di dettare la «linea», che è roba da fascisti, da comunisti, da nazicomunisti, da tardo-scalfaristi, non da leali adepti della religione della libertà.
Io stesso, giornalista, provocatore nato e deputato del Pdl, non ricordo una sola volta che il fratello e sodale Silvio, sia pure in via amicale, mi abbia suggerito di scrivere contro o a favore di qualcuno.
Mai e poi mai. Berlusconi è un sincero, autentico liberale, per questo, Bocchino, avendolo, certo involontariamente, offeso, dovrebbe chiedergli venia. Altre scuse andrebbero, inoltre, rivolte al Pdl, sigla che significa «Popolo della libertà», cioè il contrario esatto di regimi fascisti o comunisti, che, in effetti, i direttori li cacciavano, ipso facto, appena non risultassero rispondenti all'interesse della dittatura.
Italo Bocchino, soprattutto, dovrebbe chiedere scusa a Vittorio Feltri, grande giornalista, stessa razza di quell'indimenticabile direttore dell'Avanti! di nome «Benito Mussolini», proprio perché capace di essere utile e coerente riguardo a una specifica area politico-culturale, senza mai, però, divenire signorsì di nessuno.
Come Mussolini se ne fregava della nomenklatura del Psi e della Cgil, Vittorio non risponde a nessuno, non dico a Fini o a Bocchino, ma neppure a Berlusconi, che, fra l'altro, nemmeno ha il vizio di telefonargli.
Viene alla mente il poeta Gneo Nevio, campano come Bocchino, spirito libero e mordace, il quale fece controinformazione irrispettosa, pagando sulla propria pelle la permalosità della famiglia patrizia dei Boffo, pardon dei Metelli, i quali, prima lo fecero imprigionare, quindi lo esiliarono a Utica. «Fato Metelli Romae fiunt consules», ecco l'incriminato calembour di Nevio, che può esser letto sia «per disgrazia», sia «per destino di Roma», «i Metelli sono eletti consoli».
I Metelli, quasi come Boffo e Bocchino, la presero malissimo, rispondendo di getto: «Dabunt malum Metelli Naevio poetae» (I Metelli causeranno malanni al poeta Nevio). E li provocarono quei mali, tant'è che Nevio morì in esilio (200 a.C. circa).
Berlusconi, però, non proviene dalla gens dei Metelli e neanche dai Boffo o dai Bocchino, perciò Feltri rimarrà al suo posto. «Hic manebimus optime», potrà affermare Vittorio, uno che fa solo e bene il suo mestiere.
L'amico Italo, infine, assimilatosi, a suo danno, per un attimo, al dittatore Chavez, la star dei mostriciattoli stalinisti di Venezia, dovrebbe chiedere venia a se stesso, già politico di vaglia, arguto, affabile, simpatico, intelligente e garantista, per questa caduta illiberale, che fa torto alla sua biografia e alla sua persona.
*deputato del Pdl
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