Controcultura

"Caro Ciano, toglietemi l'umiliante qualifica di confinato"

Le lettere inedite indirizzate al giornalista fanno luce su un periodo buio dello scrittore.

"Caro Ciano, toglietemi l'umiliante qualifica di confinato"

di Curzio Malaparte

Forte dei Marmi (Lucca), 9 giugno 1935

A Sua Eccellenza

il Conte Galeazzo Ciano

Ministro della Propaganda

Roma

Cara Eccellenza,

è diverso tempo che ho l'intenzione di scriverti, ma fino ad oggi non ho saputo decidermi, per comprensibile sentimento di delicatezza. Stamani, in occasione del mio trentasettesimo compleanno (il tempo passa, e questi, che dovrebbero essere gli anni conclusivi della mia vita, sono invece i meno felici), è venuta a trovarmi mia madre, ed è lei che mi ha persuaso a ricorrere a te anche questa volta.

Tu sai che io non ho nulla da lamentarmi, per quel che riguarda la mia situazione. Il confino, da quando ho lasciato Lipari, è ridotto per me a una pura formalità. E sono grato al Duce e sono grato a te, caro Ciano, di aver considerato il mio caso con larghezza di spirito e con un senso di umanità e di generosità, che mi ripagano di tante passate amarezze.

Se oggi le mie condizioni di salute sono assai migliori di quel che fossero sei mesi or sono, lo debbo al Duce e a te, poiché è chiaro, a detta dei medici, che se io fossi rimasto a Lipari, dove il clima è ventoso e l'aria impregnata di zolfo per la vicinanza di Vulcano, o se anche avessi passato l'inverno a Ischia, umidissima in quella stagione, la mia lacerazione polmonare avrebbe provocato ascessi ed emottisi sempre più frequenti e pericolose. A Lipari subivo tre o quattro crisi al mese; a Ischia avevo una ricaduta ogni dieci giorni, anche in luglio e in agosto. In autunno, poi, mi sopravvenne una complicazione, e cioè un dolore acuto al polmone sinistro nell'atto di respirare. Fu questa complicazione che mi spinse a scriverti, lo scorso ottobre, per chiedere un trasloco in clima più sano. La scelta, che io debbo al tuo buon cuore, di Forte dei Marmi, è stata la mia salvezza. Ho potuto curarmi, e, sebben abbia trascorso un inverno piuttosto disagiato, per l'umidità della mia casetta in mezzo alla pineta (e perciò senza sole) e per la mancanza di qualsiasi comodità, riscaldamento, ecc, ho visto decrescere progressivamente la frequenza dei miei ascessi polmonari e sparire del tutto le emottisi. L'ultima grave crisi l'ho avuta in gennaio, e sono stato male una quindicina di giorni. Da allora in poi sono andato sempre migliorando. E se te lo scrivo non è per la nota mania dei malati di parlare dei loro mali, ma per darti la misura della mia gratitudine.

Visto che il clima di Forte dei Marmi fa per me, ho deciso di fissarmi qui per sempre, di rimanere qui a lavorare tranquillamente anche quando sarò libero. Per darti una prova di questo proposito, aggiungerò che ho ripreso recentemente le trattative già iniziate nel settembre del 1932, poco prima del mio arresto, per il tramite di Angioletti, che allora abitava qui (quella di fissarmi al Forte non è, come vedi, una mia idea di oggi), e ho comprato una casa sul mare, dove fisserò le mie tende per sempre, e che abito già. Ho quattro anni di tempo davanti a me per pagarla, e perciò mi tocca mettermi sul serio al lavoro, far delle economie, scrivere articoli e libri. E spero di poter lavorare in pace, senza più tribolazioni, malattie e trasferimenti.

Il fatto che io abbia comprato una casa qui, che abbia ormai tutti i miei interessi al Forte, dovrebbe essere una seria garanzia della mia volontà di vivere tranquillo, in casa mia, di far la mia vita di scrittore serenamente e seriamente. L'editore Grasset e l'editore Heinemann di Londra mi stanno facendo pressioni su pressioni perché io consegni al più presto il manoscritto del mio libro sugli inglesi, di cui gli articoli apparsi sul «Corriere» non sono che brani. Avrebbero voluto pubblicarlo in maggio, ma non sarà pronto prima di ottobre. Il contratto stabilisce la pubblicazione contemporanea in Francia e in Inghilterra: la prima metà del libro è già tradotta, ed è piaciuta tanto a Parigi quanto a Londra. Certo, il libro è una presa in giro piuttosto pepata dei signori inglesi: Grasset ci si diverte un mondo, e lo stesso editore inglese Heinemann assicura che sarà un successo anche in Inghilterra, appunto per le verità pepate che dico. Ma per finire il libro debbo lavorare sul serio, e spero che ormai la mia tranquillità non sarà più turbata.

Dopo tutti i guai che ho passati in questi due anni, non credo che le mie speranze di una definitiva liquidazione del mio caso siano troppo indiscrete. Il regime di confino a cui sono soggetto è una pura formalità. Tutti sanno che il Candido del «Corriere» sono io. Tutti sanno che da sette mesi sono al Forte. La mia situazione equivoca, tuttavia, mette in imbarazzo quanti mi avvicinano, e io pure mi accorgo di avere l'aria molto buffa. Non posso certo dire a tutti quali siano le ragioni di salute per le quali sono qui. Ed oggi che ho comprato una casa, che mi sono fissato qui per sempre (a meno che non mi si trasferisca in un'altra residenza, il che sarebbe per me un grosso guaio: ma per fortuna non vedo perché mi si dovrebbe trasferire), ora che ho dato, mettendo radici, una seria garanzia della mia volontà di viver tranquillo e di non... scappare, mi decido a chiederti se non sarebbe possibile, sotto certe condizioni, togliermi la qualifica di confinato.

Mi impegnerei a non venire a Roma, neppure per un giorno, fintanto che non lo credereste opportuno. Mi impegnerei a non muovermi dal Forte, e a non rimettermi in circolazione, fintanto che, dopo un periodo di quarantena, non mi giudichereste meritevole di riprendere la mia liberà attività di scrittore. Che interesse avrei io a non mantenere l'impegno assunto? Perderei di colpo il terreno riguadagnato, perderei la collaborazione al «Corriere», mi toglierei cioè la possibilità di pagar la casa che mi sono comprata. Mi sembrano che siano queste considerazioni e garanzie abbastanza serie. Ti chiedo troppo? Mi è difficile, isolato come sono, rendermi conto delle probabilità favorevoli che può avere la mia richiesta. Ma mi sembra che il momento non sia inopportuno, dopo quasi due anni di confino, per chiedere alla generosità del Duce e al tuo buon cuore un provvedimento a mio favore. Mettetemi pure le condizioni che vorrete: ma toglietemi, se è possibile, l'umiliante qualifica di confinato.

Può darsi che non desideriate rivedermi troppo presto in circolazione. Ti garantisco, caro Ciano, che non mi muoverò dal Forte, dalla mia casa, dalla mia biblioteca. Rimarrò qui a lavorare, per pagare le rate della somma che mi sono impegnato di versare per l'acquisto della casa. E poi, quando si ha addosso il male che ho io, ti assicuro che non si domanda se non di viver tranquillo, per tirare avanti più a lungo che sia possibile. Il fatto stesso di sapermi confinato, anche se sono confinato al Forte, non può darmi la tranquillità di spirito di cui ho bisogno. Vivo sempre col vago sospetto di star troppo bene e col timore continuo che questo bene volga in peggio.

Ho forse fatto male a scriverti. Ma a chi potrei rivolgermi, se non a te? Se questa lettera non ti sembrasse opportuna, dimenticala, e non serbarmene rancore. Io ti sarò egualmente grato, con tutto il cuore, anche se non ti sarà possibile accontentarmi.

Con devozione affettuosa

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