Caro Ferrara, torna presto in tv

Lettera al giornalista per convincerlo a tornare: occorre rappresentare un pezzo di Paese lasciato nell’ombra da Santoro & Co. E manca una voce libera che vola alto col gusto della provocazione e del paradosso

Caro Ferrara, torna presto in tv

Caro Giuliano Ferrara,
lei lo sa bene anche troppo, essendo una questione di intelligenza. Ancor di più: è una questione di libertà e di tutti i suoi derivati, tipo il pluralismo e la rappresentanza democratica. E anche qui, mi pare, siamo sempre dalle sue parti. Dalle parti delle questioni importanti, del pensiero forte e del pensare in grande. Ecco perché usiamo parole grosse che possono suonare retoriche (ne corriamo consapevolissimamente il rischio). Ma suvvia, lo ha già capito e dunque vengo al dunque. Si metta una mano sulla coscienza o sul cuore o dove vuole, e torni in televisione. Bando alle titubanze, alle incertezze, ai narcisismi che ricordano alla lontana il Nanni Moretti che non sapeva come farsi notare meglio. Non è certo il suo caso. Ha scelto di dirigere Il Foglio, piccolo gioiello di nicchia. Figurarsi.
Però c’è un però. Come ha scritto nel suo elzeviro di qualche giorno fa, ora che da tre anni non strofina «il naso sul monitor scintillante dell’elettrodomestico più prestigioso del mondo» e il caro pubblico stenta a riconoscerla per strada o le porge complimenti sgangherati («Non mi perdo una puntata di Sette e mezzo e un numero del suo Libero») o la scambia per Bud Spencer; ecco, ora che tutto questo continua a non bastare a farle riprendere la via della telecamera, almeno pensi a noi.
È da una settimana che quelle sue righe, eleganti e dissimulate, mi ruminano in testa. C’erano i regali e gli addobbi e i riti del Natale cristiano. Ora mi si sono rivelate. Sarà la nostalgia? Sarà il riconoscimento di un vuoto da riempire? Sarà l’insipienza della televisione messa in campo dal centrodestra? Sarà la sotterranea voglia di tornare a provocare? «Ho avuto delle offerte professionali generose», ha scritto, «e chissà che non mi torni la voglia di chiedere che cosa ne pensi a Dario Franceschini o di travestirmi, genere cabarettistico-teologico a me più confacente, in qualche figura di nuovo telepredicatore». Ecco qua, caro Ferrara, siamo a supplicarla di rompere gli indugi, di non tergiversare oltre e di ritornare nell’agone. Accetti una di quelle «offerte professionali generose». Ovviamente, in veste di neotelepredicatore - con la sua cifra di autoironia - più che di conduttore-intervistatore di politica... Non vogliamo caricarla del ruolo di salvatore della telepatria di centrodestra. No: facendo tv bisogna anche divertirsi, avere assoluta libertà di movimento, autonomia autoriale e tutto il resto. Però ci pensi seriamente, ponga tutte le sue condizioni e scelga il contenitore più adatto, il vettore più consono. La Rai dove imperversa la sinistra in tutte le sue gradazioni (giacobina, veltronesca, secchiona)? Mediaset, dove da anni cercano la formula del talk show da tv commerciale (e dove già fece Radio Londra e L’Istruttoria)? La7, dove è tornato Mentana con tutte le conseguenze che sappiamo? Scelga. L’importante è che lei abbia presente che lo fa anche per l’Italia. Per la convivenza civile. Caro Ferrara, è una missione alta: rappresentare un pezzo del Paese - maggioritario - finora mal rappresentato. E poi aiutarci a farla finita con questa storia della televisione tutta in mano alla sinistra (anche per pochezza della destra). Meglio: aiutarci a farla finita con la solfa di spegnere Santoro, Floris, la Gabanelli eccetera che, ridendo e scherzando, dura quasi da un decennio. Con relative e cicliche minacce di boicottare il canone, come se quelli che guardano Santoro e soci il canone non lo pagassero anche loro. E, soprattutto, come se quelli a cui non piacciono Santoro e soci non potessero usare il telecomando...
Fin qui, credo concorderà, il discorso non fa una piega. È a questo punto, però, che il ragionamento s’increspa. Cioè: una volta cambiato canale, alla ricerca, di un altro pensare, dove si va a sbattere la testa? Si rischia di vagare a vuoto, senza ancoraggi sicuri e piste praticabili. Sì, ci sono alcuni tg: meno affidabili di un tempo. C’è Bruno Vespa: e va bene, dio lo mantenga. C’è Paragone...

Ma qualche scossone in più? Il gusto della provocazione? Del volare alto? Del paradosso? Della fantasia? Del coraggio della nonviolenza? Dello sberleffo vero ai potenti?
Qui, converrà, c’è una prateria. E c’è una prova stimolante. Ma qui, caro Ferrara, è proprio una questione di intelligenza. E dunque...

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