Sì, caro fratello toro e caro fratello cavallo, questa volta ce l'abbiamo fatta. È una battaglia iniziata da lontano, combattuta da molte primavere, come direbbero quegli indiani che cacciavano il bufalo, ma non si sarebbero mai sognati di torturarlo o di estinguerlo. Perché solo la stupidità e l'arroganza del viso pallido può arrivare ad annientare ciò che serve per riempire la pancia e solo la cattiveria di "un generale di 20 anni, occhi turchini e giacca uguale" può massacrare vecchi e bambini gettandoli sul fondo del Sand Creek.
È una battaglia iniziata in sordina, nella stessa patria della corrida, una battaglia fatta di giovani, di ciclostilati, di manifestazioni civili, di raccolte di firme, proprio nel paese che, unico al mondo, dovrebbe essere il solo a capire questa manifestazione. «Solo gli spagnoli possono capire la corrida». Non è più così e nulla c'entrano destra e sinistra, come nulla c'entrano la religione, lo stato, le tradizioni cui i "taurinos" si sono aggrappati, per anni, nella speranza di salvare un business che è rimasta ormai l'unica ragione di tale vergognoso spettacolo. Mi spiace per Ernest Hemingway, ma io adoro la polvere rossa dei carri di Steinbeck, dei poveri sfruttati che dall'Oklahoma fanno girare le grandi ruote di legno verso quella California che dovrebbe essere la loro terra promessa. E così, come ne la Battaglia o in Furore, senza per questo essere di destra o di sinistra, sento di dover stare dalla parte dei deboli, dalla parte di chi lotta avendo la ragione ma non la forza al suo fianco.
Questo innato sentimento di empatia verso i "deboli" siano essi uomini o animali, mi ha sempre condizionato a stare dalla loro parte, dalla parte del toro in questo caso, che nasce e viene allevato senza nessun'altra chance che finire nell'arena, torturato da chi gli infila dardi metallici nelle carni, da chi lo insegue per sfiancarlo, da chi lo fa correre avanti e indietro come un pupazzo addestrato, per finirlo magari sbagliando diverse volte il bersaglio, condannandolo a lenta agonia. E noi dovremmo salvare questi spettacoli per chi? Per noi stessi? Per i nostri figli? Per le tradizioni? Se il problema è quello di onorare le tradizioni, Roma potrebbe chiedere all'UNESCO di gratificarne la storia, riportando ai suoi fasti il Colosseo con tanto di tori, leoni, gladiatori e folla gaudente. Per fortuna la civiltà, di cui l'attenzione per il benessere animale è una componente ormai insostituibile, ha relegato la corrida, e spettacoli simili, a pochissime nazioni nel mondo. Qualcuna resiste in Sudamerica e due perdere pezzi i pezzi anche in Europa. Sono Spagna e Portogallo che devono chiudere le trasmissioni televisive su quello spettacolo diventato un boccone ormai indigeribile, pur affogato da litri di Sangria. Così, da qualche anno, la "tourada" (corrida portoghese) va in onda solo in fascia protetta, perché riconosciuta troppo violenta, mentre la tradizionale corrida spagnola perde lo share necessario a tenerla sugli schermi e lascia il posto alla soap opera di turno.
Sono stato molte volte in Camargue e, se chiudo gli occhi, sento ancora il profumo salmastro di Salin de Giraud, sento il profumo della terra dopo l'improvviso temporale, mentre nel cielo terso vola lo stormo di volpoche.
Caro fratello toro così ti evitano la tortura in unarena
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