"Caro Pirandello, ti ho beccato a copiare"

La critica letteraria Daniela Marcheschi racconta tutte le pagine che il premio Nobel, nel saggio "L’umorismo", avrebbe scippato dai lavori dei suoi colleghi meno famosi: "Lo fece per riuscire ad ottenere in fretta la cattedra"

Si potrebbe partire con una citazione. Dire parafrasando il titolo di una sua pièce teatrale: «Professor Pirandello ma non è una cosa seria!». E per attualizzare: «Mi scusi professor Pirandello ma il professor Galimberti ha studiato con lei? È da lei che ha copiato, perdoni il gioco di parole, il suo metodo del copia e incolla?».
E qui saremmo già da ammanettare per lesa maestà culturale, se a dare a Luigi Pirandello della fotocopiatrice umana non fosse un’autorevole italianista: Daniela Marcheschi (nella foto). Il sasso, ed è un sasso pesante, lo ha lanciato dalle pagine del Sole24Ore.
Ecco il succo della vicenda: Luigi Pirandello nel 1908 aveva già pubblicato Il fu Mattia Pascal ma la sua situazione economica era tutt’altro che sicura. Aspirava a una cattedra di ordinario alla facoltà di Magistero, dove già insegnava. Nacque così il saggio L’umorismo (che è stato da poco ripubblicato da Newton Compton). Bene, un po’ per la fretta un po’ forse per un certo snobismo intellettuale, quel saggio sembra avere un sacco di debiti non dichiarati. O per dirla tutta: una marea di pagine copiate di sana pianta. La professoressa Marcheschi che è recentemente ritornata su quel volume, sta preparando un convegno internazionale sull’umorismo che si terrà a Lucca tra il 6 e l’8 aprile, ha infatti rintracciato un’infinità di «prestiti» non dichiarati: Alfred Binet, Gabriel Séailles, Gaetano Negri e Giovanni Marchesini. Ma anche intere pagine scopiazzate alla bell’e meglio da opere più divulgative come Storia e fisiologia dell’arte di Ridere di Tullio Massarani. Abbiamo intervistato la professoressa per renderci conto dell’entità del plagio e di come mai Pirandello l’abbia fatta franca.

Professoressa ma come? Luigi Pirandello ha cercato di andare in cattedra con un saggio copiato?
«Sì e in parte la cosa era già nota. Però se ne è sempre parlato poco, almeno in Italia. Il primo ad accorgersene fu uno studioso svedese che già negli anni sessanta rivelò i debiti intellettuali non dichiarati rispetto a Gabriel Séailles...».

E qual è la novità dei suoi studi?
«Io mi sono accorta che il quantitativo di debiti è molto più ampio. E già quando parliamo di Séailles si tratta di pagine e pagine... Ad esempio Pirandello ha “saccheggiato” la monumentale Storia e filologia dell’arte di ridere di Tullio Massarani, stampata a Milano da Hoepli nel 1901. Lo stesso per Gaetano Trezza da cui Pirandello copia l’idea di “Umorismo come sentimento del contrario”».

Si tratta solo di un utilizzo scorretto di fonti sulla materia o Pirandello si è impossessato anche di idee cardine partorite da altri?
«Concetti come l’umorismo come sentimento del contrario contrapposto al comico come “avvertimento del contrario” sono concetti importanti. E non sono suoi, sono di Trezza e di Leon Dumont...».

Come le è venuta l’idea di scavare a fondo su un’opera tutto sommato nota?
«Mi sono accorta che il libro era poco citato, importanti studiosi della comicità degli anni venti come Alberto Piccoli Genovese del testo di Pirandello citavano poco, magari lo criticavano. E così mi sono messa a studiarlo a fondo. Sono andata indietro di anno in anno di sangue in sangue...».

Secondo lei perché Pirandello, il cui genio letterario è indiscutibile, si sarebbe abbassato a fare un centone del genere...
«Ha probabilmente confidato nel fatto che molti professori fossero arroccati nelle aule. E i controlli erano meno semplici di oggi... Alcuni dei testi usati poi erano dell’ottocento... o dei primissimi del ’900... A volte risalire all’originale non è semplice: in alcuni casi mischia le fonti... Ogni tanto poi c’è una citazione all’autore ma mai specifica... Io adesso ho la casa piena di carte solo così sono riuscita a preparare il mio intervento per il convegno ricostruendo la vicenda dell’opera».

Eppure Pirandello doveva sentirsi sicuro sul libro, l’ha pure ripubblicato nel 1920...
«Si una nuova edizione “Aumentata” e pubblicata in polemica con Croce... Io credo di nuovo abbia confidato sul fatto che la gente non leggesse e che al di là di pochi specialisti quasi nessuno potesse accorgersene... E poi voleva tornare ad essere presente. È stata forse supponenza...».

Ma se dovessimo prendere in esame il valore del saggio sull’Umorismo lei come lo valuterebbe?
«È un centone che mischia tutto. Un lavoro fatto alla carlona con degli spunti interessanti... Se ha un valore, come cercherò di spiegare al convegno, è quello di essere una cartina di tornasole. Partendo da quello si riesce a ricostruire il pensiero sui temi dell’umorismo e della comicità che si è sviluppato negli anni precedenti alla stesura. Si è proprio come ho detto, una cartina di tornasole...».

Pensando a questa vicenda mi viene un altro dubbio. Ma è possibile che questa «marachella» sia sempre rimasta ai margini degli studi ufficiali?
«Esiste una sorta di santino Pirandello e questo santino non si aveva evidentemente voglia di rovinarlo. Si è preferito lasciar perdere certe cose... Con altri autori si è invece stati molto meno deferenti e rispettosi. Tanto per dire se si tratta di Fogazzaro o dello stesso De Sanctis non mancano mai i giudizi critici. Invece è importante indagare anche questo saggio con tutti i suoi limiti. E riscoprire gli autori che ci sono dietro. La vera genesi di certi concetti, il modo in cui sono arrivati in Italia...».

E su questo la

critica avrà il suo bel da fare. Ammesso che la questione non finisca di nuovo sotto il tappeto. Del resto sono cose che possono finire sotto il tappeto anche su casi molto più freschi. Su cattedre da cui ancora si insegna.

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