Caro Stasi, vogliono distruggerti Sei colpevole anche da innocente

Caro Alberto Stasi, caro amico ti scrivo, così mi rilasso un po’, si fa per dire. Non sono un magistrato, non sono un avvocato, non sono un criminologo. Sono uno scrittore, e ho seguito con interesse fin dall’inizio la vicenda processuale in cui ti sei trovato incriminato, l’ho seguita come avrebbero fatto Dostoevskij o Flaubert o Zola o Kafka, ma anche, giorno dopo giorno, analisi dopo analisi, con profondo senso liberale e umanità. Ti scrivo perché tu, giustamente, hai scelto di non parlare, e va benissimo, il problema è che parlano gli altri, parlano tutti, e nessuno di coloro pagati per esprimere opinioni ha il coraggio di sbilanciarsi con forza, a parte i tuoi avvocati, e a parte la bravissima Cristiana Lodi di Libero. Perché per avere idea di cosa significhino i processi mediatici basterebbe aver letto i giornali e guardato le numerose puntate di Porta a Porta e Matrix dedicate al «caso Garlasco», dove continua a campeggiare in background il tuo volto di unico accusato.
Ti scrivo perché, quando sarai assolto, non avrai vita facile, sarà anche peggio di adesso. Dopo l’assoluzione chi ha seguito il caso a spizzichi e bocconi e televisione, come si segue qualsiasi cosa nella quotidianità, continuerà a vedere in te un assassino che l’ha fatta franca. Non tutti, ma molti, e ne basterebbe uno per avere la vita rovinata. Così, guardando la televisione, leggendo i giornali che da mesi parlano di te, ti chiederai: a cosa servono i processi mediatici se non ci sono mai fatti incontrovertibili? Perché se ne parla allora? Figurati, qui non esistono certezze su niente, né sui dati economici né sui risultati elettorali, tutto è sempre opinabile all’infinito, tutto è teologia e mai niente scienza, certezza. Quindi si è deciso, da subito: tu eri l’assassino di Chiara Poggi, mentre l’unica cosa certa era che tu fossi il fidanzato, quindi casomai il contrario dell’assassino, ammenoché essere fidanzati non sia già di per sé un movente. Invece è diventato un capo d'imputazione terribile, pur non trovando altro, tra te e la povera Chiara, che allegre complicità e messaggini amorosi, neppure un vicino che abbia sentito una lite, niente. E allora? Ricordiamolo ai lettori, ecco le altre «prove» schiaccianti, messe nero su bianco, e cadute una dopo l’altra: c’era il sangue di Chiara sui pedali della bicicletta? Risultato delle perizie: non è sangue (motivo per cui già il Gup fece rilasciare Alberto, redarguendo la Muscio per la frettolosità del provvedimento di carcerazione preventiva). Le tue scarpe non potevano non essersi sporcate di sangue? Risultato delle perizie: potevano eccome, il sangue era secco e se pure si fosse sporcato le scarpe dopo dieci ore non ne sarebbe rimasta traccia. Ci sono le tue impronte sul portasapone? Risultato delle perizie (bastava del semplice buon senso): dormivi lì, vivevi lì, sarebbe stato strano non ci fossero state. Convinti però che tu non fossi al computer quando fu uccisa Chiara. Per la cronaca, riportiamo le esatte parole di Rosa Muscio: «Tenuto conto che non vi è traccia informatica sul suo computer portatile della presenza di un operatore che interagisce con la macchina dopo le 10.17, Stasi ha avuto tutto il tempo per commettere l’omicidio, per cancellare ogni traccia direttamente a lui riconducibile e per costruire il ritrovamento casuale del cadavere». Risultato delle perizie (di un computer da te subito consegnato e manomesso dai carabinieri): hai lavorato al computer tutta la mattina, dalle 9 e 35 alle 12 e 20. E ora? Si arrenderanno? Macché.
L’accusa sposta l’orario della morte di due ore e mezzo, per incastrarla negli unici venticinque minuti rimasti liberi, da quando Chiara stacca l’allarme di casa a quando tu ti metti al pc. E, incredibile, fanno anche le prove: in venticinque minuti potevi andare da casa tua a casa di Chiara, ucciderla, e tornare indietro. Non credo che nei venticinque minuti abbiano anche provato a disfarsi dei vestiti e buttare l’arma del delitto in qualche buco nero dell’universo (poiché non li hanno mai trovati), e a questo tempo bisogna aggiungere il tempo di lavarsi accuratamente dal corpo, dai polpastrelli, dalle unghie, dai capelli, dalle orecchie, ogni traccia del delitto, e prima di mettersi tranquillamente al computer a lavorare alla tesi e fare qualche capatina su Youporn. Neppure John Rambo ci sarebbe riuscito, secondo Rosa Muscio tu sì, dovrebbero mandarti in Afghanistan.
Attenzione, lo so Alberto: il collegarti così spesso ai siti porno è un altro capo d’accusa, oltre all’esserne stato fidanzato. Infatti la «propensione maniacale per la pornografia», tua, mia e di un’altra qualsiasi dei miliardi di persone che ogni giorno si collegano ai siti porno, è un altro movente omicida. A fronte di questo castello di prove inesistenti e ipotesi improbabili da Tribunale dell’Inquisizione, ricordiamo anche, pescando a caso: una testimone ha visto una bicicletta da donna la mattina del delitto, e il Pm cosa fa? Indaga? Cerca una bicicletta corrispondente? No, scarta la testimone, perché la bicicletta doveva essere la tua. Se ne lamenta anche il testimone «non hanno voluto ascoltarmi». Le impronte di scarpe sul pavimento, incluse quelle insanguinate nel bagno di Chiara, non corrispondono a nessuna delle tue calzature, addirittura non è compatibile neppure il numero, e cosa ne ha dedotto l’accusa? Di andare a cercare di chi potessero essere le scarpe dell'assassino? No, sono tue anche se non corrispondono, quindi le avrai buttate, per esempio a Londra. Un modello, però, che dalle perizie sulle foto risulta altrettanto incompatibile, peccato, sarebbe stato fico che, per culo, almeno assomigliassero.
Dietro tutto questo ci sei tu, e non so come tu faccia a reggere. Non avrai mai solidarietà piena, intima, da nessun cittadino, in un Paese dove la presunzione di innocenza è diventata una presunzione di colpevolezza perfino di fronte a improbabilità e incriminazioni assurde sotto gli occhi di tutti, dove non esiste responsabilità civile dei magistrati, e dove non c’è trasmissione in cui non si alimenti il tritacarne delle opinioni, dei sì, ma, però, forse, chissà, e tutto questo ti rimarrà impresso sul volto e cucito sulla pelle a vita, anche quando nessuno si occuperà più di te perché Vespa sarà alle prese con il plastico di un altro delitto.
È per questo che, da scrittore, vorrei offrirti la disponibilità di scrivere un mio libro con te, su di te, insieme a te.

Ti chiederai: perché proprio con te? Perché odio i giornalisti, perché sono uno scrittore, perché così facciamo un libro importante che resterà nella storia della letteratura e delle vittime della Santa Inquisizione, contro il partito di chi, dovendo esercitare la giustizia, ragiona pensando più o meno così: «Io a quello lo sfascio». Sfasciamolo noi.

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