Carriglio monta «le sedie» di Ionesco

«La prima volta che vidi Ionesco, in un afoso pomeriggio di luglio del'60 a Parigi», ricorda Pietro Carriglio, che stasera al Piccolo Teatro Studio presenta in prima nazionale Le sedie (in scena fino a domenica 20), «il grande commediografo mi chiese a bruciapelo che tipo di rapporti intrattenessi con l'invisibile. E rimase di sasso quando gli risposi che il cosiddetto invisibile è il vuoto che ci accompagna dal primo all'ultimo giorno della nostra vita». Ma questa sconcertante affermazione non è la prima novità che ci riserverà il nuovo spettacolo del Biondo Teatro Stabile di Palermo. Il solo a gestione pubblica del nostro Paese, che da tempo porta avanti con orgoglio una rilettura critica dell'opera del rumeno di Parigi. A torto considerato, per via del suo squisito humour noir, l'equivalente francese del nostro Campanile. Mentre invece è stato piuttosto l'emulo di Pascal, teso a rintracciare nelle pieghe più fruste del parlato quotidiano l'inquietante volto del Divino. Come ci ricorda Carriglio, amico intimo di Marie-France, unica figlia del grande scrittore, rimasta folgorata un anno fa dalla messinscena di Re muore del regista palermitano, di cui aveva già ammirato l'allestimento di Delirio a due. «Non ci si scordi», interviene ora Nello Mascia, l'attore napoletano prediletto da Servillo che in queste Sedie, allestite per celebrare il centenario della nascita di Ionesco, interpreta il ruolo del Vegliardo che dialoga con personaggi immaginari, «che la commedia è ambientata in un faro». E a chi gli obbietta, dalla platea, che questa scelta può essere stata l'ennesima bizzarria dell'autore, d'impeto tutti e tre - Mascia con Carriglio regista e l'incantevole protagonista femminile Galatea Ranzi - insorgono. Dichiarando a gran voce il debito contratto da Ionesco nei confronti di Strindberg. Il quale, come si ricorderà, costrinse i protagonisti della sua tragedia Danza di morte ad agire la loro tortura senza scampo in uno spazio analogo. Riguardo poi al senso profondo di questo apologo tragico che vede in scena una coppia di vegliardi - tristissima immagine dei nostri progenitori caduti dall'Eden nell'inferno della terra - tutt'uno con il tetro Oratore impersonato da Sergio Basile, Carriglio punta il dito sulla scenografia di cui, come sempre nei suoi spettacoli, è autore. «Ho rispettato - dice - le indicazioni di Ionesco al punto di costruire una sorta di prolungamento dell'imbuto del Teatro Studio. Come se il mattonato voluto da Strehler per questo spazio si dilatasse incombendo sullo spettatore fino ad inglobarlo, racchiuderlo, soffocarlo. Ma non chiedetemi come ho risolto il problema delle sedie che, nel finale, devono stritolare la scena in un abbraccio mortale. Per saperlo, venite a teatro». Tutto bene maestro, ma non teme che un simile apparato finisca per condizionare l'atmosfera di una pièce come Le sedie?, interviene un'agguerritissima signora. Ma il regista non si perde d'animo.

«Lo sa mia cara - ribatte con foga - che Ionesco mi rivelò di aver scritto Le sedie dopo aver letto Dei nomi divini, il famoso trattato di Dionigi l'Areopagita?». Di colpo, al nome del filosofo che asseriva di aver assistito all'eclissi avvenuta dopo la morte di Cristo, si fa un gran silenzio. E tutti giurano che stasera accorreranno al Piccolo.

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