Il Carroccio si allinea Bossi convoca i vertici

RomaSu e giù, come l’altalena. Il bastone e la carota, un po’ ribelli un po’ ordinati. Uno sgambetto alla Camera (arresto per un pidiellino), un segnale di pace al Senato, oggi, sul rifinanziamento delle missioni. L’ordine è votare sì, facendosi andare bene il poco ottenuto: una riduzione del numero di soldati all’estero, una diminuzione dei costi. Ma niente rispetto ai tuoni di Pontida, dove Maroni chiedeva una data certa per il «ritiro dalla Libia». Nel decreto che la Lega vota oggi non c’è né ritiro né data certa, soltanto una formulazione fumosa e per contro una dichiarazione esplicita, nella relazione tecnica che accompagna il testo, dove si legge che «data l’impossibilità allo stato attuale di prevedere la fine del conflitto, non si è in grado di stabilire con certezza le esigenze finanziarie...».
Perciò Roberto Castelli non andrà a votare, come gli ha consigliato lo stesso Bossi, a cui il viceministro aveva espresso tutte le sue perplessità. Ma Castelli è un leghista romantico, spesso isolato (anche se la pancia del partito è con lui). I vertici leghisti invece sono più realisti e nel tira e molla col Pdl stavolta tocca mollare un po’. Anche se si darà voce al dissenso su operazioni militari considerate inutili e pericolose (Calderoli: «non condivido, va trovata una exit strategy»).
L’ultimo giro di boa prima dell’estate dovrebbe passare senza cambi di vento, come anche sul «processo lungo». L’agenda verrà fissata questo venerdì, con un «federale» in via Ballerio convocato d’urgenza da Bossi, che dovrebbe restare in padania tutta la settimana (faccia a faccia col Cav rinviato). L’ordine del giorno prevede la discussioni di questioni organizzative e vecchi provvedimenti disciplinari, poca roba. Ma è probabile che la riunione di tutti i capi sarà occasione per discutere questioni nazionali. Tutto però pare rimandato a settembre, dove si attende un test sull’asse Lega-Tremonti, con l’autorizzazione a procedere per il braccio destro del ministro, Marco Milanese. I leghisti sembrano avere un atteggiamento diverso rispetto alla vicenda Papa. Dicono «vedremo, si decide caso per caso». «Devono arrivare nuove carte, sull’affaire Sogei, le leggiamo e poi prendiamo una decisione» spiega un influente deputato leghista, lasciando aperta la porta di quel che potrà fare la Lega. Ma anche l’ala più battagliera del partito sembra ripagata dal consenso interno ottenuto con le ultime mosse, pronta a rientrare nei ranghi. Si guarda alla prossima primavera, con le amministrative di maggio, per rimettere in discussione tutto, se ci sarà bisogno. Nel frattempo si naviga con il vecchio trucco bossiano di dividersi le parti: a Maroni quella del «frondista», a Calderoli quella del pompiere, al cerchio magico quella dei «berlusconiani», a lui quella che gli va. Mentre però tornano a galla le frizioni interne. Tra i deputati si diffonde la notizia che il capogruppo Marco Reguzzoni ha annunciato, in una festa a Cuveglio (Varese), che resterà in quel ruolo, anche se Bossi ha detto a inizio luglio che «entro un mese il capogruppo lo farà Giacomo Stucchi». I deputati della Lega attendono.

Nel frattempo fanno girare, con un certo divertimento sadico, una delle foto dell’Espresso sui colleghi che in aula giocano a solitario sul pc. Quella in cui sembra leggersi, sul piccolo monitor azzurro, «Marco Giovanni Reguzzoni». Bagatelle in vista di una resa dei conti interna che si ormai avvicina.

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