Marcello Chirico
da Milano
Era nata come una «questione personale» ma col passare delle settimane si è trasformata in un «caso politico». Da ieri pomeriggio è «crisi» di maggioranza vera e propria quella apertasi in Regione Lombardia dopo la mancata approvazione, in aula consigliare, di ben sei articoli dellassestamento di bilancio per lesercizio 2005. Il tutto per effetto di una nuova ascesa sullAventino della Lega Nord, che - dopo la decisione (presa un paio di settimane fa) di non partecipare più alle riunioni di giunta - ha messo in atto ieri la seconda ritorsione possibile al mancato ripescaggio dellex capogruppo lùmbard alla Camera, Alessandro Cè, nelle sue funzioni di assessore regionale alla sanità: far venir meno i propri voti in sede dapprovazione del «fondamentale» (è laggettivo scelto dallo stesso Formigoni, ndr) documento contabile regionale.
Una minaccia, per la verità, paventata dagli uomini del Carroccio fin dalla scorsa settimana, prima ancora di portare in aula il rendiconto 2004 insieme a tutti le altre tranche di Dprf vecchi e nuovi. In quella sede il rendiconto passò, ma considerato il clima non idiliacco creatosi allinterno della maggioranza, si optò per il rinvio di 7 giorni della seduta di bilancio (con annessa discussione sul «caso Cè», come concordato con le opposizioni), sperando così di trovare una soluzione ad una querelle scatenatasi dopo appena un paio di mesi dallavvio dellottava legislatura lombarda.
In pratica si registrò immediatamente unevidente divergenza tra Lega e Forza Italia sul modus operandi in materia sanitaria, più precisamente tra il neoassessore leghista Cè e il formigoniano Giancarlo Abelli, responsabile del welfare: Cè chiedeva di poter avere mano libera sulla gestione del settore affidatogli, ma allo stesso tempo di mettere becco nelle deleghe del collega, ritenendole connesse al proprio assessorato. Sconfinamento che, poco per volta, portò prima a vivaci divergenze tra i due, poi a risse vere e proprie durante le sedute di giunta, vissute con fastidio dal governatore così come dagli altri alleati. A far venir meno la pazienza furono però le dichiarazioni rilasciate in agosto alla stampa dallassessore leghista, attraverso le quali Cè accusava Formigoni e i suoi di gestire la sanità secondo «logiche di potere» personali. Accuse che ne determinarono limmediata sospensione dal ruolo istituzionale, al quale sarebbe stato riammesso soltanto previa presentazione di scuse scritte. Che non sono mai arrivate e questo ha fatto sì che il caso (irrisolto) si trascinasse fino ad oggi, poichè nemmeno Berlusconi e Bossi sono riusciti a sanarlo.
Probabilmente perchè il «caso Cè» è la spia di un malessere politico più ampio, che ha origini romane (il mancato varo della sospirata devoluzione) insieme ad uninsofferenza di fondo tra Formigoni e Lega al Pirellone che si trascina da prima del voto e che adesso il Carroccio ha trascinato alle estreme conseguenze sfruttando lassist della sospensione del proprio assessore. Difeso a oltranza ma che i lùmbard sono pronti a sostituire in cambio di una maggiore visibilità in Lombardia: o trasformando il ministro Roberto Maroni in un super-assessore a cui affidare sanità e welfare, oppure attraverso un rimpasto molto pesante della giunta in chiave leghista.
Per oggi è di fatto convocato dal governatore un summit di tutte le segreterie politiche della Cdl per avviare la verifica, perchè - come lo stesso Formigoni ha dichiarato in aula - «non intendo minimamente nascondere la gravità di quanto accaduto: è stato sostanzialmente negato lappoggio ad un gesto di governo fondamentale, un provvedimento già approvato allunanimità in giunta e che una componente della maggioranza ha rifiutato». Adesso si tratterà di «capire se da parte della Lega esistano ancora le ragioni di unalleanza», è andata subito al nocciolo della questione la coordinatrice azzurra Mariastella Gelmini. «Nessuno scenario va escluso», ha aggiunto Massimo Corsaro di An, ma da via Bellerio i leghisti manifestano calma e ottimismo.
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