Ci sono in sostanza, a dispetto delle varie soluzioni prospettate dalle agenzie, solo due modi per viaggiare: 1) portarsi dietro una valigia di libri già letti o da leggere in viaggio; 2) prepararsi, una volta a destinazione, un'altra valigia di libri da studiare al ritorno, per capire quello che si è visto. Insomma, sempre dei libri si ha bisogno, di questo stramaledetto supporto cartaceo da cui nascono quasi tutti i guai dell'umanità... La lezione la conosce ovviamente benissimo Nico Orengo, uno che i libri li mangia a merenda e, dopo averne letti, metabolizzati e a volte dimenticati a migliaia, ha titolo per scriverne anche di ottimi.
La genesi dell'ultimo, Hotel Angleterre (Einaudi, pagg. 144, euro 160), segue un percorso esemplare. L'idea nasce durante un viaggio a San Pietroburgo - soggiorno, appunto all'Hotel Angleterre - prende corpo al ritorno in Liguria, si irradia costruendo una fittissima tela di ragno la cui trama raggiunge la Costa Azzurra, la Russia e il Nord Europa. Ma è una trama di carta, una strada consolare pavimentata di libri, le cui pietre miliari sono i racconti familiari e favolosi dei nonni, dove la realtà si confonde col sogno e questo ultimo non è meno vero del primo.
Insomma, il viaggio fisico è solo lo spunto di un altro viaggio, metafisico, immateriale, fatto di letture sedimentate, di un prezioso patrimonio di ricordi, che l'autore recupera scrivendo. Inoltre, ancora leggendo, e scrivendo, e avvalendosi di una formidabile task force di lettori e ricercatori di lusso, Orengo diviene acutissimo investigatore di entità metafisiche, che si camuffano sotto le mentite spoglie di cose ordinarie.
Una penna, infatti, è in sé un oggetto quasi insignificante. Quand'anche sia appartenuta a Goethe e questo ultimo ne abbia fatto omaggio a Puskin, allegando una breve dedica in versi. Cambia solo per un feticista, oppure per un curioso come Orengo, il quale maneggia i libri come Maigret la pipa. E riesce a trasformare questa vecchia storia per turisti, captata per caso durante una visita alla casa di Puskin, in un evento straordinario.
Si accende la scintilla, si innescano una serie di cortocircuiti casuali che Orengo governa lasciandosi trascinare anche sull'onda degli affetti. Emergono i nonni russi dell'autore, i conti Tallevic rovinati dalla Rivoluzione. I due Natali festeggiati a San Remo: quello cattolico e l'altro ortodosso. La nostalgia delle steppe, l'amore o il disorientamento che la violenta bellezza mediterranea provoca in questi nobili slavi, testimoni già di un mondo in via di estinzione. Bizzarrie e intemperanze di gran signori che ormai si aggirano come spettri in Riviera. E soprattutto Puskin, l'amore-odio che nutre per lui Zukovskij, il maestro superato dall'allievo: Salieri al cospetto di Mozart. E Nabokov, Esenin, la Cvetaeva, l'Achmatova, Ettore Lo Gatto e Serena Vitale. La penna è una lenza, con la quale Orengo il pescatore, recuperando con maestria e malizia da veterano, unisce la Liguria a San Pietroburgo.
Creando un solido ponte di libri.
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