CartaSi crea il polo italiano della monetica

Il futuro di Unicredit continua a sollevare critiche fuori dal coro, ma a conti fatti il mercato sembra aver già superato lo scossone delle dimissioni di Alessandro Profumo. In Borsa l’azione (+3,28% ieri) ha recuperato quasi tutto il terreno perso mercoledì. Nel mondo finanziario non è inusuale la rimozione dei vertici in tempi rapidi nel caso venga meno il feeling con gli azionisti, o la fiducia nelle scelte strategiche, anche se con modalità e tempi del tutto diversi dal caso Profumo.
Nelle ultime due settimane, oltre al banchiere genovese, sono usciti di scena all’improvviso i numeri uno di Barclays, Lloyds Banking e, proprio ieri, Michael Geoghegan, a capo di Hsbc, una delle maggiori banche al mondo. Per la verità senza lo strascico di particolari polemiche, visto che la successione era stata preparata a dovere. Le rassicurazioni sull’indipendenza e la continuità aziendale rivendicate dal presidente Dieter Rampl hanno allentato le pressioni dagli investitori, ma non quelle da tutto ciò che ruota intorno alla banca.
Dal mondo politico a quello sindacale, passando per qualche grande azionista, alla stampa estera, sono stati sollevati rischi e allusioni a potenziali squilibri all’interno della prima banca italiana. Dalla perdita di «italianità», a ipotetiche scalate dalla Libia e da Singapore che hanno spinto le Fondazioni a chiedere perizie ad hoc per proseguire con la sterilizzazione delle partecipazioni sopra il 5%. L’ansia di difesa della roccaforte nazionale viene in realtà interpretata dalla comunità finanziaria come un’arma per accrescere il proprio peso all’interno della banca, creando potenziali interferenze dannose nel lungo termine.
Il tema è stato sottolineato dal presidente delle Assicurazioni Generali, Cesare Geronzi, che smentendo le ipotesi di «fantafinanza» che delineano maxi fusioni con diverse compagnie (da Mediobanca a Mediolanum) ha evidenziato «il malinteso senso di radicamento al territorio» che le Fondazioni esprimono in questo periodo e «che rischiano, accogliendo ispirazioni politiche, di disgregare il sistema invece che cementarlo e aiutarlo in una fase difficile per l’economia». La replica dagli enti interessati non si è fatta attendere. Il presidente di Cassamarca, Dino De Poli, ha rivendicato in una lettera al numero uno del Leone le scelte rilevanti fatte per il Paese, gli sforzi sostenuti per far crescere Unicredit e l’autonomia e responsabilità degli azionisti nella decisione di cambiare l’amministratore delegato. Non ha poi mancato di lanciare una frecciata al banchiere romano riferendosi all’acquisizione di Capitalia, di cui allora Geronzi era presidente, definendola un boccone indigesto e un’operazione avvenuta «troppo velocemene». Anche se non s’è voluto alimentare la polemica con una nota ufficiale, ambienti vicini ai vertici della compagnia assicurativa hanno ricordato il carattere contraddittorio dell’avvocato De Poli rispetto al pieno appoggio che aveva prestato nel 2007 per la possibilità, unendo Capitalia in Unicredit, di creare un gruppo in grado di concorrere alla pari con Intesa Sanpaolo nel nostro Paese.
Le dichiarazioni politiche giunte nelle ultime settimane tramite i rappresentanti delle Fondazioni e l’esplicito richiamo alla necessità di credito per il territorio non sono cadute nel vuoto.

Sempre da Trieste si sottolinea, infatti, la necessità di nuove regole, con più rigorosi criteri di professionalità e indipendenza nella designazione dei membri delle Fondazioni per evitare di incorrere in rischi per le banche in nome di un localismo inteso a proprio piacimento.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica